Sample Image

Scarica il libro 

GRAZIE, DON ANGELO!

“Con te ho incontrato la serenità.Ancora oggi lo abbraccio

Col desiderio di vivere”

Questo dono ti giunge

dalla Chiesa del Cielo:

Non lasciarlo dimenticato

In un cassetto o alla polvere

Di uno scaffale.

Dopo averlo letto

Donalo a tua volta a chi può

Averne bisogno.

Questo è il desiderio

Di Coloro che, dal Cielo,

ne hanno guidato la

stesura e la realizzazione.

Sample Image

PREFAZIONE

 

In una società tecnologica come la nostra, che ci ha ab it uati a una spiegazione per tutto quanto ci circonda, sembra proprio che non ci sia posto per i miracoli. Così, quando ci imbattiamo in eventi la cui origine non ci appare giustificabile con alcuna delle conoscenze in nostro possesso, non solo rimaniamo esterrefatti, ma spesso finiamo col ridicolizzarli o addir it tura rimuoverli dalla nostra mente. Il mondo – si sa – è pieno di ciarlatani e di maniaci del sensazionale, che tentano di attirare l’attenzione degli sprovveduti per ricavarne un interesse personale, magari spacciando grossolane mistificazioni per ver it à e ‘gonfiando’ episodi che altrimenti non avrebbero niente di eccezionale. Nella considerazione di tali riprovevoli comportamenti, si è sviluppata in varia misura una certa diffidenza verso chi parla di parapsicologia e fenomeni paranormali o, comunque, di avvenimenti che trascendono l’umana esperienza. Io stessa ammetto di essere abbastanza scettica in questo senso e di guardare certi episodi con spir it o talora ipercr it ico. Tuttavia è impossibile negare che intorno a noi talvolta si verifichino fatti inesplicabili. R it engo dunque inutile e pretenzioso liquidare il tutto con dei banali “non ci credo” oppure “sono tutte fandonie”, specialmente quando ci vengono proposte vicende come quella descr it ta in questo libro. In questi casi infatti non dovremmo fare altro che rimanere in rispettoso silenzio di fronte al racconto dei protagonisti. Più che un racconto, comunque, questo libro è un’amiche-vole chiacchierata, attraverso la quale Franco Predieri rie-voca le tappe della sua drammatica storia e dell’incontro con colui che definisce il suo “salvatore”, Don Angelo Fantoni. La forma è molto semplice, quasi colloquiale, tanto che procedendo nella lettura si accresce la sensazione di essere davanti a un amico che, con grande seren it à d’animo, ci rende partecipi delle sue più profonde emo-zioni. Si tratta in effetti di un atto di amore e riconoscenza verso una persona ”speciale”, che attraverso le sue doti e con incondizionato altruismo ha aiutato tanti sofferenti. L’autore ci parla infatti della sua prodigiosa guarigione da una gravissima malattia, diagnosticata con agghiacciante chiarezza dai medici, i quali una trentina d’anni or sono, senza mezzi termini, gli avevano preannunciato una fine imminente. Predieri è ancora in possesso di tutta la docu-mentazione san it aria, dalla quale emerge quella che lui stesso, in quel terribile periodo, considerava la propria ineluttabile condanna a morte. Se allora possono escludersi tutte le possibili spiegazioni naturali della sua guarigione, non resterebbe che parlare di miracolo ad opera di un santo. Ma esiste, ed è possibile, la “sant it à” nella v it a di oggi? “Le qual it à spir it uali sono visibili da lontano come i monti dell’Himalaya” si legge nel Dhammapada, il van-gelo buddista. Nondimeno, per non rischiare di naufragare tra le disarmanti sovrastrutture del nostro secolo, do-vremmo sforzarci di cambiare la chiave di lettura della re-altà, prestando attenzione, per esempio, a certe coinci-denze significative, che spesso siamo portati a trascurare. Pensiamo, dunque, che l’uomo è in defin it iva molto più complesso di quanto appare e che il “dentro” e il “fuori” non sono poi così avulsi l’uno dall’altro.

Maria Fantacci

 

PRESENTAZIONE

 

Ho deciso di pubblicare questo libro per rendere omag-gio e grat it udine a chi r it engo essere la figura più impor-tante della mia v it a: Don Angelo Fantoni.

Per me, qui sulla Terra, è stato un padre, un vero padre, e gli debbo il mio r it orno alla v it a.

In questo libro si narra della mia miracolosa guarigione e si tenta di illustrare altresì la figura di un sacerdote e ca-rismatico straordinario.

Circa trenta anni fa, poco più che ventenne, mi ammalai gravemente e mi fu diagnosticato un tumore al cervello. Per tutti, ormai ero spacciato e mi fu persino impart it a l’estrema unzione.

Soffrivo troppo, e attendevo la morte con ansia, quasi fosse la liberazione, quando Dio volle mettermi nelle mani prodighe di Don Angelo Fantoni, che mi riportarono len-tamente alla v it a, strappandomi alla più buia disperazione e plasmandomi in un uomo nuovo, sia fuori che “dentro”.

Cercherò inoltre di illustrare alcune sensazioni che ho provato in gioventù e che mi hanno in qualche modo “pre-parato” all’incontro con Don Angelo.

Questa mia modesta opera è priva di qualsiasi pretesa letteraria e non desidero né encomi né mer it i personali, che, in tutta sincer it à, non credo di avere.

Tuttavia è forte in me, quasi imperioso, il bisogno di ri-cordare – o presentare – la figura di un uomo umile e buono, un autentico servo del Signore che ha dedicato la sua v it a al prossimo fino in fondo.

Descrivere la personal it à di Don Angelo o il solo par-larne non è cosa semplice e persone molto più consone di me, nel passato, lo hanno già fatto in modo mirabile.

Una di queste è stata Don Redento Becci, anche lui sa-cerdote che scrisse nel 1983 un libro dal t it olo Il fluido di un prete di montagna e sul quale vennero riportate alcune testimonianze di guarigioni prodigiose, fra cui la mia.

Mi piace c it are una frase che Don Redento scrisse su quel libro e che mi ha colp it o:

“ Una nuova pubblicazione su Don Angelo sarebbe inu-tile e vuota se non perseguisse questo fine: di illuminare, di edificare, di trasformare nel bene quanti lo leggono ”.

Ed è proprio questo lo scopo che mi sono prefisso. Con questa mia modesta opera, oltre che far conoscere Don An-gelo a chi non ha avuto l’opportun it à – o la fortuna – di co-noscerlo, desidero portare quel tantino di speranza nel cuore di coloro che si vedono circondati dal buio come lo fui io un tempo.

Dio è dispensatore di ogni bene e come a me ha fatto in-contrare Don Angelo può aiutare chiunque a risollevarsi da una malattia sia fisica sia morale, e metterlo sulla strada buona dove si possono fare incontri che cambiano radicalmente la v it a.

Tuttavia tengo a precisare che, nonostante questo sacer-dote buono e car it atevole mi abbia tanto aiutato riportan-domi alla v it a, il vero e unico artefice della mia guarigione è stato il Signore.

Don Angelo è stato il mezzo, il tram it e straordinario che Dio ha usato per realizzare le sue opere meravigliose, ma, come tale, dobbiamo sì essergli riconoscenti di tanta fatica per una v it a spesa a fare il bene, tuttavia senza mai per-dere di vista questa grande e assoluta certezza: è Dio che fa i miracoli.

Fu proprio Don Angelo a ripetermi questa lezione più volte proprio perché vedeva il mio atteggiamento troppo devoto nei suoi confronti. “ Io non sono niente e nessuno! ”, amava dire con la santa umiltà; e per rispetto e ricono-scenza della sua persona lo confermo perché sia a voi chiaro questa fondamentale ver it à.

Oggi, per grazia divina, sento ancora, dentro di me, la sua voce potente e sicura che mi consiglia, mi sgrida, mi rassicura.

Quale stupendo conforto per me!

So di non poterlo dimostrare e molti non mi crederanno. Comprendo benissimo tale incredul it à ma, come amo dire, per ognuno arriva un momento in cui si può modificare il punto di vista alla luce di esperienze nuove e costruttive.

E, mi si creda o meno, è stato proprio Don Angelo che, dalla stupenda dimensione dove ora si trova e in cui ri-splende la infin it a luce di Dio, mi ha sugger it o di scrivere questo libro e farne dono a tutti coloro che, animati dal vivo interesse per certi argomenti, desiderano, attraverso la mia esperienza, approfondire questa delicata quanto af-fascinante tematica.

Ho ricevuto tanto da Dio, attraverso il suo servo Angelo, e tutto gratu it amente. Oggi, gratu it amente, desidero dona-re qualcosa anch’io nel Loro nome. Potrei c it are, a questo propos it o una frase del vangelo di Matteo:

“ Gratu it amente avete ricevuto così gratuitamente date ” .

Questo che faccio è ben poca cosa ma si pensi che queste pagine le ho scr it te avvalendomi delle mani e degli occhi e questo è mer it o di Don Angelo. Infatti, quando lo incontrai la prima volta, il 9 dicembre 1971, ero moribondo, quasi cieco e semi-paralizzato poiché al cancro si era aggiunta la scleroso a placche. Dopo quasi trent’anni, seppure con l’uso di stampelle, posso camminare e mi sento felice.

Sono fermamente convinto che Don Angelo sia ancora vicino a coloro che ha tanto aiutato durante la sua v it a ter-rena ma sia pronto a dare aiuto anche a tutti coloro che glielo chiedono e intercedere per loro con Dio.

Grazie a questo uomo straordinario che mi ha onorato con la sua lunga amicizia oggi benedico quei momenti ter-ribili in cui mi vedevo perduto irrimediabilmente e a cui ho potuto dare un senso.

Ho visto la morte starmi accanto ed è stata per me una sublime lezione di v it a.

Concludo ripetendo a voi tutti quello che Don Angelo sempre mi ha insegnato: “ mai disperare ma sempre dire sia fatta la Tua volontà ”.

L’Autore

Il mio sincero ringraziamento alle Signore Maria Fantacci, Aurora Puccetti, Elisabetta Piccini, Gabriele Mangiacane, che con la loro disinteressata collaborazione e generosa amicizia hanno reso possibile la pubblicazione di questo libro.

 

DON ANGELO:

BREVI CENNI BIOGRAFICI

 

Don Angelo Fantoni, al secolo si chiamava Francesco, nacque nel Casentino in una piccola frazione del comune di Bibbiena, a Freggina, il 2 maggio 1903.

Visse la sua infanzia in una famiglia numerosa: aveva nove fratelli. Il padre era impresario edile, la madre, ben-ché provenisse da una ricca famiglia, si occupava perso-nalmente della casa e dei figli. Oltre a queste normali oc-cupazioni faceva la sarta per uso di famiglia, l’ostetrica e la “guar it rice”.

Tutti i malati del paese facevano ogni giorno la processione in casa mia. Volevano vedere mia madre […]. Lei conosceva alcune ricette segrete capaci di guarire i mali più terribili. Oh, non erano ricette scr it te. Sa, erano state tramandate a voce nel corso dei secoli, da per-sona a persona ed erano giunte fino a mia ma-dre. La mamma con decotti, unguenti e poma-te ha alleviato le pene di tanta gente”

Ogni giorno la madre rec it ava il S. Rosario ed insieme al mar it o allevò i figli e li educò, con profondo sentimento, ai valori cristiani.

Angelo fu un bambino precoce, intelligente e molto cu-rioso verso le cose che lo circondavano. Per la sua spiccata intelligenza si distinse dagli altri bambini fin da quando frequentava la scuola elementare.

La sua maestra lo ricordava come “il bimbo che andava a scuola ogni 3 giorni”, ma nelle materie riportava sempre ottimi voti; l’unico neo era la condotta per il suo carattere vivace e incontrollabile. Carattere che mantenne anche da adolescente, infatti, era sempre in mezzo agli altri ragazzi del paese. Ma benché amasse la compagnia non si dimen-ticava mai i suoi doveri di buon cristiano; anzi già all’età di sei anni radunava i suoi compagni per spiegare loro il catechismo e fare prediche.

Fin it e le elementari, il parroco del paese, frate del vicino convento di Camaldoli, lo convinse ad entrare nel collegio di Buonsollazzo. Vi entrò a diciassette anni, ma prima di terminare gli studi prestò servizio mil it are nella 6° Pesante campale di artiglieria e, con i gradi di sottotenente, si con-gedò nel 1924; sub it o dopo riprese gli studi iscrivendosi al collegio di Fano Montegiove e ricevette gli ordini sacri.

Il 26 marzo 1929 fu ordinato suddiacono da Mons. G. Zanchini; il 21 dicembre dello stesso anno ricevette il dia-conato da Mons. Mignone, Vescovo di Arezzo, il 18 marzo 1930 il sacerdozio.

Il giovane si r it irò dal mondo, scelse la v it a contempla-tiva r it irandosi nell’eremo di Camaldoli. Qui fu maestro dei fratelli laici, defin it ore del cap it olo Generale e fin dal 1938 si occupò anche degli emigrati.

La forte crisi economica che attraversò in quell’anno la sua famiglia fu la causa determinante per cui decise di la-sciare l’eremo e passare al clero secolare e fu mandato in una parrocchia sul confine it alo-francese, dove svolse atti-vità assistenziale e morale oltre ad una propaganda a fa-vore dell’Italia. Erano gli anni 1938-39 e la cosa non piac-

que alle autor it à francesi, per cui fu costretto a rimpa-triare.

Tornato sul suolo it aliano fu mandato come cappellano a Vecchiano di Pisa, poi come economo spir it uale di Santa Maria Assunta a Cardoso di Stazzema, in provincia di Lucca.

Qui il suo arrivo fu accolto con diffidenza dalla popola-zione, ma ben presto, per il suo modo di fare e di pensare, si conquistò la fiducia anche di quei parrocchiani più restii ed ostili alla Chiesa e al suo clero.

Ogni sera era circondato dalla gioventù locale e, fra un bicchiere di vino e l’altro, fra una risata e l’altra, insegnava loro il catechismo.

Oltre, però, al recupero morale dei suoi parrocchiani si presentava anche il problema del recupero edilizio della canonica e della chiesa. Infatti la canonica, data l’incuria dei parroci precedenti, era in pessime condizioni e non poteva essere la sua casa, il suo rifugio. Don Angelo non disperò e si mise al lavoro per restaurarla. Terminati i la-vori, passò al restauro della sala della venerabile Compa-gnia del SS. Sacramento. Il tutto a sue spese, che consi-stettero in ben 7.350 lire, cifra considerevole per quei tempi!

Dopo, costruì il cim it ero nuovo e vi fece traslare i cada-veri riesumati da quello vecchio. Anche la chiesa parroc-chiale esigeva dei restauri. Così riuscì a cost it uire un co-mitato esecutivo e il progetto di lavoro fu allest it o da un ingegnere di Stazzema, l’ing. Gianni Osman. Furono fatti lavori radicali, la chiesa, spogliata del suo barocchismo, fu affrescata dal p it tore Pierini e le ingenti spese sostenute furono pagate in parte dallo Stato, in parte da Don Angelo stesso e il rimanente dalla popolazione.

La chiesa fu inaugurata il 1° ottobre, festa della Ma-donna del Rosario.

Si dedicò, inoltre, al catechismo, alla predicazione, so-lennizzò le feste religiose e per la buona riusc it a riuscì a coinvolgere tutta la popolazione, creando momenti di completa socializzazione all’insegna della fede.

Quando l’Italia fu coinvolta nella seconda guerra mon-diale e in particolar modo dopo l’8 settembre 1943, attra-versò momenti tristi e impegnativi.

I partigiani, fra i quali alcuni suoi parrocchiani, costitui-rono a Stazzema un sottocom it ato di Liberazione ubicato proprio nella canonica di Don Angelo.

Il nostro Parroco fu prodigo di aiuti materiali e morali, anche a rischio della propria v it a. Procurava viveri e me-dicinali, portava i conforti religiosi nei casolari sparsi e persino nelle grotte, dove la popolazione si era rifugiata.

Per ev it are rastrellamenti e stragi, come l’eccidio per-petrato nel vicino paese di S. Anna di Stazzema, collaborò con i tedeschi ricevendo la loro fiducia, procurando loro anche il bestiame da macellare.

Continuò con questo doppio gioco, con il pensiero sem-pre rivolto alla incolum it à dei suoi parrocchiani, fino a quando non giunsero le truppe di liberazione americane.

Così ci narra lui stesso:

Fui preso da quattro tedeschi e legato ad un castagno per vendetta e scherno. Non essendo la legatura troppo complicata riuscii a scio-gliermi e andai nella stanza del sinodo. Nel frattempo vennero i partigiani che spararono con il m it ra all’impazzata, fecero prigionieri i quattro tedeschi. Però furono poco sorvegliati cosicché riuscirono a r it ornare tra i loro came-rati. Dopo tre giorni il mio paese fu invaso da m it ragliatrici e carri armati. Perquisendo tutte le case, catturarono 18 donne, un sacerdote dei Servi di Maria e un vecchio 86.enne, detto il nonno, con 24 figliuoli. Quando constatai il pericolo, dissi alla mia mamma che dovevo andare fuori. Ella si oppose alla mia decisione e piangendo mi sconsigliò di uscire. Ma io avendo la responsabil it à dei parrocchiani an-dai a trattare con i tre cap it ani i quali, nono-stante la mia generos it à di essermi offerto per liberare gli altri dall’eccidio, mi risposero di-cendo: ‘nulla da fare perché lei ha il lasciapas-sare del generale e quindi è nostro camerata!’. Dopo animate discussioni, riuscii a far libe-rare il vecchio con le 18 donne; non riuscii a salvare il sacerdote perché l’avevano visto con i partigiani. Però a condizione che trovassi 15 uomini disposti e pronti a lavorare sotto la Tot. Allora, dalle 23 all’una di notte, dovetti andare casa per casa per persuadere gli uo-mini ad andare a lavorare con i tedeschi .

Passata la guerra, nell’ottobre 1948, fu trasfer it o a Ver-niana, piccola parrocchia in provincia di Arezzo.

Il suo amore verso il prossimo non si manifestò sola-mente nel portare la parola di Dio e di amore nei cuori più aridi, ma anche attraverso i fatti, alleviando i dolori e i di-spiaceri delle persone ammalate.

Nel 1938 si accorse che in presenza di ammalati il suo corpo subiva strani fenomeni. Associando le varie sensa-zioni provate al male della persona che gli era di fronte, si accorse che poteva diagnosticare con certezza il male da cui l’altro era affetto.

Addir it tura con le “bioradiazioni” che emetteva riu-sciva a percepire i tessuti e gli organi ammalati e ad in-fluire benignamente su di loro.

In una intervista rilasciata a Sandro Majer, nella quale il giornalista gli chiedeva, vista la competenza in diagnosi e cure, se avesse studiato medicina, Don Angelo rispose così:

Fin da bambino stando vicino alla mamma, ho sempre provato molto interesse per la medi-cina. Col tempo la mia passione diventò una vera e propria mania. Passavo le giornate a leggere i trattati di anatomia, patologia, far-macologia, chirurgia. Frequentavo gli ospe-dali, osservavo i successi e gli insuccessi della medicina ufficiale. Poi nel 1938 improvvisa-mente mi accorsi di possedere uno strano fluido. Cioè ogni volta che mi avvicinavo ad un ammalato, il mio corpo subiva degli strani fenomeni: mi venivano i brividi, il sangue mi andava alla testa. Le sensazioni non erano sempre le stesse. Ad ogni male corrispondeva una diversa sensazione. Così, dopo un paio d’anni col mio fluido potevo riconoscere tutte le malattie. Anche quel che i medici non riu-scivano a scoprire, era in grado di farlo il mio fluido. Poi dicevo al paziente, questo è il tuo male, devi prendere questa medicina, dì al tuo medico di prescrivertela .

La voce di queste sue capac it à si sparse velocemente e a lui si rivolsero migliaia di persone ammalate, persone co-muni che avevano perduto ogni tipo di speranza, ma an-che persone famose:

Nella mia carriera – affermava in una intervi-sta per Oggi Illustrato il 2 aprile 1969 – ho già guar it o nove milioni di persone, fra cui Mus-solini, Gino Bartali e molti onorevoli. Ricevo centinaia di lettere al giorno e, nel mio studio, arrivano migliaia di pazienti ogni mese .

Le migliaia di lettere che Don Angelo riceveva come se-gno di ringraziamento per le v it e salvate chiudevano tutte con una stessa frase: “Grazie, Don Angelo, per avermi gua-rito” .

Ma la sua attiv it à di “guar it ore” non era ben vista dalla medicina ufficiale, perciò l’Ordine dei Medici di Arezzo lo denunciò per esercizio abusivo dell’arte medica. Gli inqui-renti configurarono anche il reato di truffa continuata e illec it i prof it ti.

La denuncia andò avanti ed un giorno il giudice istrut-tore e un cancelliere si recarono a Verniana per effettuare l’interrogatorio. Si erano appena presentati che Don An-gelo li scrutò e diagnosticò ad ognuno la malattia da cui erano affetti. Le due diagnosi si dimostrarono vere, tanto che il giudice istruttore divenne suo paziente e l’assolse in istruttoria.

Ma l’Ordine dei Medici non si arrese e la sentenza fu impugnata dal Procuratore della Repubblica.

Don Angelo si difese precisando che non aveva mai fatto vere e proprie diagnosi, ma aveva soltanto percep it o sensazioni diverse secondo il morbo di cui era affetta la persona ed inoltre non aveva mai preteso compensi in da-naro.

L’incidente giuridico provocò una reazione anche da parte della Chiesa ed il Vescovo di Arezzo gli proibì di ri-cevere i malati.

Ci fu una reazione popolare e il Vescovo fu costretto a ritirare tutto quanto aveva detto, facendo solo la racco-mandazione di non prescrivere medicine.

L’eco della sua notorietà e dei suoi guai cresceva giorno per giorno, tanto che intervenne anche la Santa Congrega-zione del Concilio proibendogli di continuare la sua atti-vità, e addir it tura paventò un trasferimento.

Nello stesso periodo, dopo due anni di istruttoria, si celebrò il processo e il Pretore di Arezzo condannò Don Angelo a un anno e mezzo di reclusione e una multa di 300.000 lire per “truffa ed esercizio abusivo della profes-sione”.

Contro tale sentenza fu presentato ricorso in Appello dal Pubblico Ministero e dagli avvocati difensori.

In Appello Don Angelo fu assolto per insufficienza di prove e così poté tornare alla sua parrocchia e continuare ad alleviare i dolori di tante persone disperate .

Fu un fervente devoto della Madonna, infatti la madre asseriva che era nato per intercessione della Madonna del Sasso di Bibbiena dal momento che alla nasc it a pesava sette chilogrammi ed il parto si svolse in solo tre minuti. Inoltre fu l’unico, dei suoi numerosi figli, che poté allevare al suo seno.

Ed il nostro Don Angelo aveva consacrato alla Vergine Maria la sua v it a, l’integr it à del sacerdozio e l’esercizio del ministero parrocchiale, oltre ad averne promosso il culto anche fra i suoi parrocchiani . A testimonianza di questa sua devozione accolse a Verniana, con solenni fe-steggiamenti, l’immagine della “Madonna del Buon Viag-gio”,opera della pittrice Luisa Miliavada, il 4 giugno 1978.

Durante la cerimonia Don Angelo prese la parola ed esortò i fedeli a crescere nella devozione di Lei, nella cer-tezza che tutte le grazie spir it uali e temporali ci vengono dal Signore per Sua intercessione .

Anche Don Angelo non fu immune dalle grazie di Maria

Santissima in quanto riacquistò la vista, ma questa espe-rienza personale è bene apprenderla dalle sue stesse paro-le:

Ho avuto sempre una vista molto lim it ata, ma ormai ero quasi al buio completo. Ero stato vis it ato da eminenti professori oculistici tra i quali francesi e svizzeri e tutti erano unanimi nel diagnosticare che la mia cec it à dipendeva dal diabete. Durante il pellegri-naggio della Madonna sognai mia madre che mi disse:‘Che cosa aspetti ad andare a Roma alla clinica Quisisana per una visita accu-rata?’.Partii, senza indugio, per Roma. Mi vi-

sitò un notissimo oculista che, con mia me-raviglia, decise di operarmi. Io […] il 9 no-vembre, come spinto da un richiamo im-provviso, tornai alla suddetta clinica dove mi fecero sub it o l’analisi del sangue – e cosa in-solita – il giorno dopo fui operato. Mi dettero alle ore otto l’anestesia, il cui effetto doveva durare fino alle 20 ed invece già alle 14,30 mi svegliai e attraverso uno spiraglio aperto (non so perché) nella benda, vedevo già la luce. Questo giorno sarà da me ricordato come il grande giorno della grazia della Ma-donna. Alle 19,30 venne il professore a fare la medicazione e mi trovò guar it o senza trac-cia dell’operazione. Comunque per precau-zione, mi misero la tartaruga lasciando, appo-sta o per distrazione, un piccolo foro, da cui vidi tanta luce mai vista prima. La mattina seguente fui medicato e dichiarato guar it o e potei la sera stessa tornare in parrocchia pieno di gioia e ringraziai con tutto il cuore la Madonna alla quale attribuisco questo ‘mi-racolo’ .

Il 26 novembre 1977 fu nominato dal S. Padre “Prelato Domestico di Sua Sant it à”, ma il conferimento ufficiale fu dato il 4 giugno 1978 in occasione della solenne incorona-zione della Madonna del Buon Viaggio.

E’ morto il 28 agosto 1992 all’età di 89 anni; 89 anni di v it a spesa, sofferta e logorata, per gli altri. Prima di morire rec it ò una preghiera a Colei che aveva sempre adorato e nella quale aveva sempre ardentemente creduto:

OH SOAVE E CELESTE REGINA

SOTTO IL VOSTRO SANTO PATROCINIO RACCOMANDO

L’ANIMA MIA:

OH BEATA DOLCE SS. VERGINE IMMACOLATA MARIA,

MADRE DI DIO E MADRE MIA,

FATE CHE IO SIA SEMPRE CON VOI E COL VOSTRO DIVIN

FIGLIO,

GESU’ E DIO MIO, NEL TEMPO E NELL’ETERNITA’

COSI’ SPERO E COSI’ SIA

Aurora Puccetti

LA MIA STORIA

Sono molto riservato, ma mi sento imperiosamente portato a scrivere col mio “ it aliano molto ristretto” della mia v it a e di quel giorno in cui ho avuto il dono di poter incontrare un carismatico, che con le sue doti ha fatto del bene a milioni di persone. Gratu it amente e in silenzio.

Mi aiuto rileggendo il mio scr it to pubblicato sul libro Il fluido di un prete di montagna di Don Redento Becci, Ediz. Falini del 1983. E’ un libro che nacque diversi anni fa, su consiglio di un amico di Don Angelo, padre Pio da Petralcina. Don Angelo era schivo, non amante della pubblic it à, ma si convinse che qualcuno scrivesse di lui e dette l’incarico a don Redento Becci, suo collaboratore ed amico.

Nel volume vennero riportate diverse testimonianze di guarigioni straordinarie, fra cui la mia.

Fu proprio Don Angelo a chiedermelo e non potei ri-fiutarmi. Anche se la mia natura è incline alla riservatezza, con quel gesto sentii di esprimere un “grazie” sincero e duraturo verso l’uomo che mi rest it uì la voglia di vivere. Fu per me, allora, come apporre un sigillo alla mia sincera amicizia e grat it udine verso Don Angelo. Qualcosa che sa-rebbe rimasto “per sempre”.

E’ proprio vero che i ricordi non svaniscono, prova sia che ancor oggi, a distanza di trentenni circa, ricordo be-nissimo le parole che Don Angelo mi disse:

“Franchino, vuoi farmi un piacere?”

“Che domanda stupida, Angelone, la mamma che desi-dera dal figlio un pezzo di pane glielo deve chiedere per piacere? Dimmi”.

“Scrivi alcune pagine sulla tua v it a e come essa sia cambiata dal momento che mi hai incontrato. Farò stam-pare quel tuo scr it to dai miei ragazzi”.

“Sono forse in grado di scrivere un articolo? Se lo scrivessi vorrei riportare pure il nome di tanti medici. Mi garantisci che non avrei conseguenze?”.

“Stai tranquillo, tutto andrà bene, quell’articolo farà il giro del mondo”.

Sarà vero, in cuor mio pensai, forse esagera, ma non posso dirgli di no, né ora né mai per la v it a.

Era l’anno 1976 e inizia a scrivere quanto segue:

“Durante una part it a di calcio improvvisamente caddi a terra, senza alcun motivo. Non era la prima volta che mi succedeva e trovai il fatto molto strano anche per quel dolore lancinante all’occhio sinistro che mi toglieva la vista quasi totalmente. Decisi di farmi vis it are al Pronto Soccorso dell’Ospedale Maggiore di Bologna. La vista era perfetta (10/10) a destra, a sinistra era scesa a 2/10; fui ricoverato. Seguirono giorni in cui fui sottoposto ad esami e vis it e. Poi una sera mi dissero:

“Domani sarà trasfer it o all’ospedale Belluria per ulteriori esami”.

A quel pensiero mi avvilii. Fino a quel giorno ero stato simile ad una roccia impenetrabile per ogni malattia e rimasi quindi confuso quanto impreparato per affrontare quel nuovo ricovero.

All’ospedale Belluria fui alloggiato in una corsia e fu un susseguirsi di dolorosi esami, iniezioni lombari e neuma-encefalo. Mi torturarono fin-ché la diagnosi fu effettuata: tumore al letto del cervello, o l’operazione o al massimo poche set-timane di v it a. Mio padre era convalescente fuori Bologna per un infarto ed avevo prefer it o tacergli il mio ricovero, ma a quel punto la sua presenza era indispensabile. Ormai vedevo il termine della mia v it a ed ero dispiaciuto pure per colei che ormai consideravo già mia moglie.

Peccato però, pensai, avevamo già avuto il con-senso del Comune, l’appartamento lo avevo si-stemato come sempre avevo sognato, il lavoro (impiegato – viaggiatore) non solo mi piaceva, ma rendeva bene e avremmo potuto essere l’incarnazione della felic it à…

Quando mio padre si avvicinò al mio letto gli confessai la triste ver it à della diagnosi ed espressi il desiderio di non farmi operare. Mi guardò con gli occhi sbarrati e andò dal prof. Gaist che con parole più consone e appropriate ripeté le mie : “tumore al letto del cervello, senza operazione avrà al massimo due mesi di v it a”.

Alla mia decisione di non farmi operare il mio medico condotto, dott. Stifano, fu propenso ad assecondarmi e furono firmate le dimissioni volontarie. Ricevetti l’Estrema Unzione ed uscii da quell’ospedale molto invecchiato ed accom-pagnato da un’idea molto presente: “per me è fin it a”.

Non avevo la volontà né il desiderio di formu-lare progetti, poiché il futuro lo vedevo pre-cluso. Una sera in un ristorante ebbi una sgra-dita nov it à: barcollavo e cadevo. Ma cosa mi succede? L’atleta è forse morto? Fui ancora rico-verato al neurologico di Bologna e il direttore dello stesso, prof. Ambrosetto, oltre al tumore diagnosticò: “Sclerosi a placche – Sclerosi multi-pla, nevrass it e disseminata”.

Il tempo passava e le ricadute erano sempre più insistenti del suono r it mico di quella fastidiosa goccia d’acqua che cade irriverente.

Ma il continuo dolore lancinante alla testa e la prospettiva di una fine prematura non mi ave-vano ancora completamente distrutto. Arran-cavo tentando ancora di sopravvivere nel mi-gliore dei modi. Ma qualcosa venne a darmi il colpo di grazia e a gettarmi nella più cupa di-sperazione. Infatti, dopo nove anni di invidiabile “convivenza” tutto era già pronto e la domenica 25 aprile 1971, nonostante la mia malattia, avrei dovuto pronunciare quel tanto atteso “sì”, ma il lunedì antecedente, 19 aprile 1971, fui ricoverato di nuovo al Neurologico. Questo cambiò i piani del matrimonio programmato e alla domenica, proprio il giorno in cui avremmo dovuto spo-sarci, “lei” venne a trovarmi in ospedale, si avvi-cinò al mio letto e mi disse addio. Ancora oggi mi domando se io abbia sofferto maggiormente alla Belluria di fronte all’Estrema Unzione o nel cercare di dare logic it à a quelle parole inumid it e da lacrime, che mi sembrarono false e “di circo-stanza”. Lo stesso staff medico era ammutol it o nel prestarmi aiuto per una inev it abile crisi ner-vosa imbevuta di lacrime, freddo gelido, su-

dore. Lo stesso medico di guardia s’inquietò per come lei mi aveva liquidato. “Non così – disse – e non adesso! Avrebbe potuto aspettare un altro momento!” Quel medico aveva ragione. L’abbandono di lei mi prostrò completamente, togliendomi, ormai, l’ultimo filo di speranza e ogni desiderio di lottare che fino ad allora erano rimasti. Una volta dimesso, nonostante la preca-rietà delle condizioni fisiche, r it ornai a lavorare con lena, forse esagerata; più lavoravo e meno tempo avevo per pensare. Lavoravo all’eccesso, gratificando me stesso e cercando di dimenti-care, ma le condizioni fisiche e la mia casa vuota mi riportavano di fronte alla realtà più cruda: NEURITE + CANCRO + SLEROSI = LA FINE . Per la prima volta in v it a mia mi sentii solo e abban-donato da tutti, perfino da Dio! “Ma cosa ho fatto per mer it are questa v it a che ormai odio? E’ tua, puoi riprenderla!” dicevo, e arrivai a be-stemmiare. Mi pare fosse il Manzoni a dire che Dio manda il male non per punire ma per redi- mere, ed è giusto. Ero sempre più solo e non riu-scivo, in quello stato di cose, a capac it armi di avere avuto, invece, una grande fortuna. Quella fortuna che avrei compreso in segu it o. Vegetavo mescolando le bestemmie alle lacrime, il mondo mi era crollato addosso e non facevo nulla per mer it armi la v it a. Lavorava, guidando la mac-china pressoché cieco, anche con la nebbia più proib it iva. Era una forma di suicidio. Non avevo più il tatto, il gusto, la forza, l’equilibrio, l’odorato. Non solo Iddio volle perdonarmi quella dannata imprudenza, di cui gli domando ancora oggi scusa, ma negli ultimi mesi del 1971 volle mettere la parola fine al mio dramma. Ero ricoverato nel reparto neurologico dell’ospe-dale Policlinico di Modena, quando mia zia Norma Torri venne a trovarmi e raccomandò: “Indossa la stessa canottiera per un paio di giorni, e per lo stesso periodo tieni una tua foto a contatto della pelle. Porterò il tutto da un prete, che non solo farà una precisa diagnosi della tua malattia, ma potrà anche avvalersi di un suo particolare fluido che ha già dato tanti ef-fetti mirabolanti”. Accettai. In fondo che avevo da perdere? Mia zia andò da quel prete e, una volta r it ornata riferì: “Ha detto Don Angelo che la tua malattia è una miel it e e guarirai. Ti rac-comanda di stare più calmo e desidera vederti”. Domandai: “Quanti soldi ha voluto?”. “Nulla” mi rispose la zia. Considerai il tutto molto strano: la diagnosi, l’assenza del compenso, tutte le storie che mia zia raccontò sull’operato di quel prete. Amo la parapsicologia ed ero al corrente già allora dell’esistenza di persone veggenti, ca-rismatiche, e di fenomeni paranormali. Quel prete destava il mio interesse e mi dissi: “Prima di morire voglio tentare l’esperienza di cono-scere un essere atipico o conversare con un fara-butto guardandolo fisso negli occhi”. Dio per-donò quell’idiota che lo bestemmiava e il 9 di-cembre 1971, giorno del mio compleanno, in-contrai Don Angelo. Nel vedere il piazzale della sua Chiesa grem it o di macchine provenienti da tutta l’Italia e addir it tura da pullman prove-nienti dall’estero, rimasi sbalord it o. Entrai in una casa in cui imperava il freddo e, dopo avere atteso dietro una lunga fila di gente, arrivai di fronte alla porta dello studio in cui Don Angelo riceveva. Una persona si rese conto delle mie difficoltà nel restare in piedi e mi offrì il suo po-sto a sedere. Non so cosa mi successe né cosa potei avvertire, ma ricordo che, per la prima volta dopo tanto tempo, parlai con Dio: “Fa che possa ricevermi, ti prego”. Giunse il mio turno ed entrai. Tutte le sue vis it e avevano la durata di pochi minuti. Io ebbe, al contrario, la fortuna di rimanere con lui per più di un’ora. Senza che aprissi bocca, esclamò: ”Buongiorno, si sieda qui accanto a me, è da tempo che l’aspettavo!”. Lo guardavo con un misto di curios it à e diffidente sospetto. Aveva la voce molto fioca ed era l’immagine di una persona stanca e ammalata. Volli lasciarlo parlare per poterne trarre una sommaria valutazione. Continuò: “Lei ha sof-ferto molto ma guarirà”. Lo guardai come un bambino può guardare un uomo grande che ab-bia in tasca tante caramelle, e domandai: “Ma come può dirlo, Padre?”.

“Lei deve solo calmarsi e r it ornerà a correre, ma, ripeto, è indispensabile essere più calmi. Mi spieghi perché, alla sera prima di dormire, lei beve degli alcolici e perché prende tanti tran-quillanti”. Mi parve di guardarmi allo specchio. E di fronte allo specchio non si può far altro che accettare se stessi. Disse ancora: “In molti le hanno fatto del male, ma ricordi che Dio perdonò e noi dobbiamo im it arlo. Per stare più calmo lei si deve infischiare di tutto e di tutti. Passerà ancora del tempo e incontrerà una donna veramente “donna”, come lei la desidera. Avrà una famiglia con diversi figli, tutti sanis-simi. Andrà a lavorare in banca. Dia tempo al tempo. Parliamo adesso del tumore.” Annullato, sbigottito, sgomento, quasi in trance domandai: “Ma dove si trova questo tumore?”. Mi toccò la parte posteriore sinistra della testa e disse: “Sì, sì, lì c’è un tumore, ma non si preoccupi poiché non è nella sua testa ma in quella di chi ha detto una cosa simile. Lei guarirà, stia tranquillo”. Solo successivamente mi confessò di avermi mentito per non avvilirmi ulteriormente. Il tu-more c’era, eccome, ma lui sapeva con certezza che sarei guarito.

Quando ci incontrammo la prima volta seppe leggere delle cose di me del mio passato e del presente che nessuno gli aveva detto e tutto con una facilità estrema. Non era né un ladro né un farabutto, ma solo un Santo vestito di onesta povertà. Seguii il mio impulso e l’abbracciai, lo strinsi forte e lo baciai e ritornai a baciarlo. Gli domandai: “Come reputa queste sue capacità anormali?”. Lui ribatté con un’altra domanda: “Anche lei è dotato di un sesto senso, E allora?”. Allargando le braccia, nel suo silenzio, volle farmi capire quanto sia insensato in certi casi domandarsi il perché. Ci abbracciammo, ritor-nammo a pregare, poi mi raccomandò: “Ogni settimana mi scriva una riga, per cortesia”. Da allora, se non gli ho scritto sempre è stato perché ci eravamo parlati per telefono. Molto spesso lo ricordavo a Dio e lui, dal conto suo, non solo fa-ceva la stessa cosa per me, ma in più mi benefi-cava del suo miracoloso fluido. In un anno lo rividi ben cinque volte, e ogni volta mi manife-stava l’exploit di quell’amore di cui nei primi tempi lui stesso si meravigliava. Da vero male-ducato lo chiamavo per nome, poiché la sua fi-gura aveva subito in me uno sdoppiamento di personalità: Don Angelo e Angelo. Il primo era una santa e degna persona che Dio ha voluto re-galare agli uomini, il secondo per me era il nonno, il padre, l’amico con la A maiuscola. Sa-peva quanto io lo amassi senza interesse e lui ri-cambiava il mio sentimento. In passato ho sof-ferto e oggi Iddio, tramite Don Angelo, mi ha fatto capire quanto dolce sia la vita, dandomi la possibilità di gioire nel guardare un fiore, un sasso, nel fare il bagno, nello scrivere una lettera. Da quando Iddio mi ha regalato l’affetto di Don Angelo, vivo una seconda vita e guardo al mio passato con tanta commiserazione. Dopo circa un anno dal nostro primo incontro con Don An-gelo mi ha detto: “In un solo anno abbiamo fatto passi da gigante e molto presto guarirai come ti avevo promesso”. Le mie condizioni attuali sono più che soddisfacenti e ciò di cui mi rallegro maggiormente è il fatto che ogni giorno che passa muore in me stesso qualcosa del bambino per lasciare spazio all’uomo. Vivo in quella stessa casa, che un giorno avrei quasi voluto bruciare e alla sera il mio letto non è più vuoto, poiché mi addormento in compagnia della pace. Oggi lavoro in banca senza troppa fatica, perché sono conscio del miracolo di poter essere in grado di lavorare. C’è che mi ha venduto con due mesi di vita, che cieco e paralizzato, Don Angelo mi ha acquistato con tali credenziali e ha fatto di quello pseudo-rottame una persona che al mondo proclama: “Mai disperare, ma sempre si dica ‘Sia fatta la Tua volontà?”.

In grado di rendere conto per quanto sopra ri-portato, in fede”.

Così terminava la mia testimonianza di allora. Ma, da quel giorno, molte altre cose sono cambiate in meglio, sempre grazie a questo straordinario carismatico.

Ho deciso di pubblicare questo libro commemorativo non solo per confermare il mio grazie verso Don Angelo Fantoni, mio benefattore e amico a cui devo il ritorno alla serenità e alla voglia di vivere, ma anche perché, proprio da parte sua, me ne è stato fatto un esplicito invito che ho accolto con immenso piacere.

Mi si può chiedere come ciò possa essere accaduto dal momento che il caro Don Angelo non è più fra noi, es-sendo deceduto nel 1992.

Innanzitutto, per me, lui è sempre vivo; come e più di prima. Non solo perché credo nella sopravvivenza dello spirito dopo la morte, ma pure perché, attraverso vie sco-nosciute che non saprei definire e che lascio all’esame de-gli esperti in materia, egli comunica ancora oggi con me, suggerendomi risposte, dandomi consigli, rimproveran-domi.

E chi l’ha detto che la morte è la fine di tutto? Con Don Angelo mi sembra che sia addirittura il contrario senten-dolo più vicino oggi di quando era tra noi.

Penso che la causa del non credere in tutto ciò celi il ti-more di scoprire una verità che si preferisce rifiutare. Quella verità che si chiama Aldilà.

Oltre la soglia fatidica che tutti attraverseremo inevita-bilmente dopo aver esalato l’ultimo respiro, vi è un luogo – se di luogo si può parlare – misterioso e affascinante che accoglie tutti e dove non esiste più né ingiustizia né do-lore. Un luogo, dove la parola “morte” non ha più il signi-ficato che noi gli attribuiamo e ogni ansia viene dissolta dall’immensa luce del Signore.

Mi rendo perfettamente conto che molti non la pensano come me e credono a una fine totale, definitiva, con la perdita del corpo fisico.

Io, per fortuna, oggi credo che la morte sia solo un pas-saggio ad un’altra vita molto più accogliente e gradevole di quella terrena. Questo, anche grazie al mio caro Angelo che continua a parlarmi dal suo mondo di pace e di amore.

Spogliandosi del suo corpo materiale, si è rivestito di un abito luminoso e in questa sua nuova veste mi guida, mi consiglia, non mi fa sentire mai solo.

E’ bello averlo accanto, sentirlo, potergli parlare.

So quanto le mie parole possano suscitare diffidenza e incredulità, e lascio ad ognuno la libertà di pensarla come vuole.

So, però, che per me è giunto il momento di testimo-niare non solo ciò che mi è accaduto nel passato, cioè la mia straordinaria guarigione, ma pure ciò di cui oggi sono protagonista. Desidero, tuttavia, fare una precisazione.

La natura dei miei contatti con Don Angelo è pretta-mente ed esclusivamente spontanea. Non ho mai, neanche lontanamente, pensato di “evocare” lo spirito di Don An-gelo, anche perché conoscevo bene il suo atteggiamento verso certe “pratiche spiritiche” che condannava severa-mente. I miei contatti con lui sono del tutto involontari, ar-rivano quando meno me lo aspetto, ma sempre al mo-mento opportuno. Talvolta, non lo nego, ho pregato inten-samente pensando a lui, aspettandomi una risposta che, puntualmente, mi è arrivata “dentro”, infondendomi una pace profonda che solo chi l’ha provata conosce. Don An-gelo comunica con me in un modo che solo Dio conosce, ma che – e lo ribadisco per fare chiarezza – non ha niente a che vedere con le “pratiche spiritiche” notoriamente con-dannate dalla Chiesa.

La prudenza, in certi casi, non è mai troppa e com-prendo la severità della Chiesa nel giudicare che con troppa facilità si avvicina a certe pratiche proibite dalla Bibbia, ma oggi, per fortuna, molti sacerdoti, seppur con molta prudenza, si sono aperti ad una possibilità di co-municazione con l’Aldilà. Fra questi, padre Zaccaria Ber-toldo e padre Ulderigo Pasquale Magni. Quest’ultimo è stato ospite di recente a Pisa, e lo sarà ancora per una serie di conferenze sul tema.

Ormai i tempi bui della Chiesa sono lontano e triste ricordo. Sono superati i tempi in cui bastava essere so-spettati di intrattenere un qualsiasi rapporto con spiriti di-sincarnati, per finire sotto processo ed essere condannati dal Santo Uffizio. Di questo, purtroppo, rimane ancora viva la triste e famosa vicenda di Giovanna d’Arco, la pul-zella di Orléans, che “vedeva” e “udiva” presenza intorno a lei e con le quali comunicava. Lei “vedeva” senza averlo chiesto e i suoi fenomeni erano del tutto spontanei, ma la sua sincerità non fu sufficiente a salvarla: fu accusata di professione diabolica e venne condannata al rogo. Succes-sivamente fu riconosciuta innocente e, quasi cinquecento anni dopo, è stata innalzata agli onori degli altari. Meglio tardi che mai e, anche per la Chiesa, i tempi sono cambiati.

Questo, per dire che gli errori se ne sono fatti tanti e, an-che se forse in maniera meno drammatica, si continua a farne ancora oggi, ma “ errare humanum est, sed perseve-rare… ”.

Don Angelo era molto ostile alle “pratiche spiritistiche”, che definiva opera del demonio, ma ammetteva aperta-mente l’esistenza di un Aldilà con cui comunicava. Poteva “vedere” e “parlare” con “presenze spirituali”, a cui chie-deva consiglio e aiuto e quindi come avrebbe potuto ne-gare ad altri prescelti da Dio – e solo da Lui – altrettante facoltà? Inoltre conosceva esattamente la data della sua morte e, a conferma di questa mia affermazione, racconto un breve episodio.

Un giorno mi disse, tutto felice:

“Sai che mi hanno allungato la vita di due anni?”

Sapevo a che si riferiva,cioè ai suoi Amici invisibili con i quali era in grado di dialogare! Quante volte, chiedendogli consiglio, l’ho visto appartarsi a qualche metro di distanza da me e, con la massima semplicità con loro colloquiare per poi riferirmi il loro illuminato parere!

Ha saputo darmi consigli, anzi, impartirmi insegna-menti, su svariati argomenti per quanto riguarda la mia vita sia spirituale sia pratica.

Verso di lui non ho mai provato nessuna remora nell’affrontare qualsiasi problema, poiché si dimostrava uomo con tutti i suoi limiti. Al tempo stesso sapeva dimo-strarmi quella saggezza paterna che ogni volta mi lasciava addosso qualcosa di nuovo, come se la sua persona ema-nasse una luce che lo trascendeva, che non proveniva da lui, ma da qualcuno molto più grande di lui, Dio.

Di Don Angelo mi piaceva tutto, anche quando si ar-rabbiava, perché anche attraverso le sue reazioni brusche si percepiva il suo elevato carisma.

Lo stesso Gesù, più volte, ha usato parole forti rivolgen-dosi ai Farisei , e non usò certo le maniere gentili per cac-ciare i mercanti dal tempio .

Anche Don Angelo qualche volta è stato un po’ brusco sia con me sia con altri. Una volta, per esempio, essendosi sentito molto male, rimandò a casa tutti coloro che erano arrivati da lui per un consulto e poi si appartò nella sua stanza.

Io, incurante del suo legittimo bisogno di rimanere solo e riposarsi, volli seguirlo fino alla sua camera. Pensai “a me Don Angelo non può dire di no!”. Appena mi vide, mi lanciò un’occhiata burbera e severa, mi offese e mi dette una spinta. Dato il mio precario equilibrio, caddi per terra.

“Ho appena avuto un infarto – gridò – vattene, maledu-cato!”.

Mi sentii frantumato, vidi il buoi di fronte a me e me ne andai verso il vuoto.

Gli scrissi una lettera domandandogli perdono per il mio comportamento sfasciato e lui mi rispose con un in-vito.

Quando lo rividi esclamò:

“Ecco quello che non si accontenta mai! Vieni qui, ab-bracciami”.

Poi aggiunse:

“Prega per me e perdonami, ti prego!”.

Obiettai che non avevo niente da perdonare ad un santo, ma subito lui ribbaté:

“Io non sono un santo! Santo sei tu!”.

Rimasi molto stupito della sua affermazione.

“Santo io, e perché?” Gli domandai. Mi risposte:

“Si, santo sei tu, perché non solo non hai fatto del male a chi te ne ha fatto tanto, ma hai pregato per loro accompagnando così il tuo perdono. Io sono un peccatore, aspetto il tuo perdono e la tua benedizione”.

Le parole di Don Angelo mi lasciarono sbigottito.

Alle volte si vivono momenti in cui si teme il risveglio e vi si adagia nell’estasi di un sogno amico. Quello fu uno di quei momenti.

Solo un vero santo poteva comportarsi in quel modo. Lui chiedeva a me di pregare per lui…!

Ma, secondo me, il bello della sua santità sta proprio nel fatto che in una persona come Don Angelo, i due aspetti fondamentali del suo essere, cioè la sua profonda dedi-zione a Dio e la sua umanità con i suoi limiti, si fondevano insieme in un tutt’uno armonioso che lasciava trasparire entrambi.

Mi ritengo un uomo proprio fortunato. Ho conosciuto la gioia di vedere e di camminare di nuovo, seppure con qualche difficoltà, ma, credetemi, dopo aver provato l’im-

Sample Image

mobilità assoluta, è meraviglioso! Ho compreso che cosa significhi conoscere la vita dopo aver sfiorato la morte, e tutto grazie all’avere avuto come amico più che fraterno un santo, Don Angelo.

Quando ero molto giovane, avrò avuto diciotto anni o giù di lì, sentivo che un giorno avrei conosciuto una per-sona del tutto speciale da cui avrei ricevuto tanto bene. Ma occorre, per essere più precisi, fare un passo indietro e raccontare un episodio, anzi, alcuni episodi, che mi riguar-dano più da vicino.

Avevo tre anni quando mi accadde un fatto che mi ha segnato per sempre.

Premetto che questo episodio mi è stato raccontato dai miei genitori, poiché, quando si verificò, ero troppo pic-colo per ricordarlo. Mia madre, ancora oggi, lo rammenta con viva emozione.

Un giorno i miei genitori andarono a fare una gita sulle rive del fiume Reno e mi portarono con loro. Arrivati sul posto, si misero a parlare e ad occuparsi delle loro fac-cende, mentre io, in compagnia di altre due bambine, mi misi a giocare con una piccola anatra di plastica che facevo galleggiare sulla riva del fiume.

A un certo momento l’ochetta mi sfuggì di mano e si al-lontanò dalla mia portata. Tentai di allungare il mio brac-cio, ma però era troppo corto per raggiungerla. Mi sporsi troppo e persi l’equilibrio cadendo nel fiume. Ero troppo piccolo e non sapevo nuotare. Mia madre vide il mio ber-retto con scritto “Forza Coppi” sull’acqua, allungò lo sguardo e mi vide galleggiare molto più avanti. Iniziò a gridare e mio padre pur non sapendo nuotare, mi rag-giunse e riuscì a portarmi a riva. Ero privo di sensi e non respiravo più. Mi praticò la respirazione bocca e bocca fin quando riaprì gli occhi e ripresi a respirare. La prima cosa che dissi fu: “Mamma, è la Madonnina che mi ha sal-vato!”. Chi ha ispirato quelle parole in un bambino di tre anni che non aveva avuto ancora una educazione religiosa tale da poterle giustificare?

Purtroppo per mia madre, il ricordo di quel giorno è an-cora vivo e doloroso, nonostante siano passati quasi cin-quant’anni. In me è svanito del tutto, perché spesso un forte shock può dare amnesia, ma penso di avere vera-mente avuto un “contatto” e di essere stato veramente sal-vato dalla Vergine Maria a cui mia madre era molto de-vota.

Ho letto di persone che, dopo essersi svegliate dal coma o essere state in punto di morte, sono tornate alla vita ac-quisendo facoltà paranormali e, questo, potrebbe essere accaduto anche nel mio caso.

Fin da adolescente, infatti, mi sorprendevo per la mia insolita capacità di fare previsioni di fatti che poi, pun-tualmente, accadevano.

Custodivo gelosamente questo segreto, mi confidavo solo con la mia fidanzata che, col passare del tempo, con-fessò di averne paura. Forse un po’ aveva ragione, infatti riuscivo a prevedere anche eventi della mia vita futura, tanto che una volta, uscendo dal campo sportivo dove avevo giocato una partita, le dissi:

“Vedi che forza ho in questa gamba destra? E’ la mia gamba migliore, eppure arriverà un giorno in cui potrò sorreggermi facendo leva solo sulla sinistra”.

“Perché, – mi chiese lei – ti romperai ancora la gamba destra?”.

“No, – le risposi subito – Sarò ricoverato e mi diagnosti-cheranno un tumore al cervello; non temere, non sarò ope-rato. Mi tortureranno e uscirò da quell’ospedale con pro-blemi deambulatori e pressoché cieco. Se non mi ucciderà il dolore per quel tumore e per gli esami clinici, e non mi suiciderò, il 9 dicembre 1971, farò un incontro che cam-bierà la mia vita. Tu non sarai presente poiché verrai in ospedale e mi dirai addio. Andò a vivere da solo e tare ri-marrò per molti anni…”.

La mia fidanzata mi ascoltava quasi spaventata, anche perché feci previsioni su di lei che, per ovvi motivi, trala-scio, ma che si sono tutte avverate.

Tutto o quasi tutto avevo già visto, compresa la mia co-noscenza con una persona speciale cui avrei dovuto mol-tissimo. Non ne avevo chiara l’identità, solo molto più tardi si è rivelata in Don Angelo Fantoni.

Molti sono gli episodi insoliti che, a questo proposito, potrei raccontare.

Per esempio una volta, andando a trovare la mia fidan-zata, vidi che si strava allestendo un funerale. Mi colpì la bellezza delle ghirlande e, in particolare, una coroncina appesa ad un albero.

Descrissi il tutto alla mia fidanzata, chiedendole se co-noscesse il defunto a cui si offrivano tutti quei fiori, ma mi rispose di non sapere niente al riguardo. Uscimmo e, con mio sommo stupore, non c’era più alcuna traccia di ciò che avevo visto poco prima; chiesi informazioni alla gente dei paraggi e nessuno aveva visto e saputo niente. Pazzesco. Poi, il giorno dopo, ma mia fidanzata uscì di casa e… vide quello che dettagliatamente le avevo descritto il giorno prima!

Potrei raccontare altri episodi analoghi ma non ritengo sia il caso. Certi avvenimenti mi lasciavano sbigottito, muto, non sapevo come definirli. Ero un giovane e pensa-vo al mio futuro che sognavo con “lei”, pur sapendo, in fondo al mio cuore, che per noi due non c’era futuro. Pre-vedevo, è vero, ma ricacciavo l’idea di prevedere, perché significava rinunciare a ciò cui tenevo di più. Allora il mio ideale era vivere con la mia futura moglie, nella mia case e svolgere un lavoro che mi piaceva. Tutto qui. Eppure al tempo stesso “sapevo” che le cose sarebbero andate diver-samente.

Anche questa previsione, purtroppo, si sarebbe pun-tualmente avverata qualche anno dopo.

Ho vissuto dei momenti terribili che oggi, però, bene-dico, e se per incontrare Don Angelo ho dovuto soffrire tanto, ne è valsa veramente la pena.

Ricordo che, la prima volta che lo incontrai, fui ben fe-lice di domandargli che cosa ne pensasse delle sue doti in-solite, di quel suo fluido di cui si parlava tanto. Lui mi ri-spose:

“Anche lei è dotato di un sesto senso, sa? Ma lo ha usato in modo sbagliato e ha avuto dei disturbi in modo svariato. Inoltre, lei, per tutta la vita, sarà un eterno rebus per la medicina”.

Secondo Don Angelo, infatti, la mia malattia era stata determinata dall’uso sbagliato e della mia capacità di fare previsioni. Aveva ragione perché io, spesso, conoscendo l’andamento di certi fatti, cercavo di ricavarne un lucro e un beneficio personale.

Per esempio, quante vincite al gioco facevo in quei tempi! Non me ne rendevo bene conto, perché ero molto giovane, ma stavo danneggiando gravemente la mia sa-lute. Dopo l’incontro fondamentale con Don Angelo ho compreso quanto ciò fosse sbagliato e, grazie a lui, ho im-parato a gestire meglio quel dono insolito.

Oggi vedo i medici che mi osservano in modo strano, in silenzio. Non si pronunciano. Ma le parole che pronunciò Don Angelo mi appaiono più chiare, Ciò che è impossibile alla medicina è possibile a Dio, ma questo non tutti i me-dici lo accettano e si lasciano vincere dalla loro presun-zione.

Tutte le visite che Don Angelo faceva al gran numero di persone che affollavano la sua canonica avevano la durata di pochi minuti, al contrario io rimanevo con lui per più di un’ora. Ricevevo i suoi insegnamenti, mi dava il suo “fluido” con i suoi abbracci e pregavamo insieme. E que-sto è andato avanti per oltre venti anni.

Il tocco delle sue mani forti ed energiche era sufficiente a rimettere a posto certi mali fisici.

Al termine di ogni nostro incontro, lo abbracciavo e re-citavo con lui il Padre Nostro. Una volta fu lui a volermi abbracciare e, mentre pregavamo, mi strinse molto forte la schiena, iniziando dalle spalle e terminando sul bacino.

“Cosa mi hai fatto?” Gli chiesi. Dapprima tergiversò, poi ammise:

”Ti hanno fatto troppe iniezioni lombari e le vertebre si erano un po’ distanziate fra loro. Ora non più, è tornato tutto a posto”.

Effettivamente da quel momento potei chinarmi senza avvertire più alcun dolore. Poi, un giorno, preso dalla cu-riosità, mi feci fare una radiografia alla spina dorsale e il risultato dell’esame fu sbalorditivo: non si notavi più al-cuna traccia di iniezione!E dire che sulla pelle sono ancora ben visibili le cicatrici! I medici presero atti di come tutto ciò fosse insolito, strano… Io solo so esattamente che cosa sia accaduto quel giorno.

Quante volte ho parlato con Don Angelo! Una volta ac-compagnai da lui un mio collega. Al termine dell’in-contro, mi prese in disparte e mi disse:”Stagli vicino, perché ne ha per poco”.

Alcuni giorni dopo il mio collega morì nel sonno, la moglie non si accorse di nulla. Di fronte a certi fenomeni anche la scienza si inchina e tace, non sapendo fornire al-cuna spiegazione scientifica. Forse soltanto la parapsicolo-gia può darne, anche se limitatamente, delle risposte, ma io affermo che davanti a certe manifestazioni l’uomo deve arrendersi all’evidenza e credere in un Dio unico e miseri-cordioso, dispensatore di molti beni. Un Dio, che può ma-nifestarsi attraverso persone speciali, come l’umile prete di Verniana.

Con Don Angelo era così. Ogni volta era capace di sba-lordirmi, dandomi, sempre di più, prova del suo autentico e eccezionale carisma.

Per essere più precisi, potrei dire che con me, Don An-gelo, più che una sola guarigione, abbia realizzato molte-plici e straordinarie guarigioni di natura sia fisica sia mo-rale.

Attraverso quel suo portentoso fluido, sono ritornato piano piano alla piena volontà di vivere, alla serenità, alla pace.

Ancora oggi mi pala “dentro”, mi dà consigli, mi am-monisce e mi spinge ad aiutare anche altre persone.

Grazie al suo illuminato consiglio, che mi offre dall’Aldilà, ho potuto aiutare perfino mia cognata afflitta da una grave forma di ernia al disco.

Don Angelo, dentro di me, mi aveva suggerito di andare a trovarla, toccarla e pregare con lei. Così feci e, nel giro di pochi giorni, l’intervento che ormai veniva dato per scon- tato, fu invece scongiurato.

Dico questo non per destare ammirazione, poiché – lungi da me – non me ne sento degno, ma perché si creda quando affermo che Don Angelo è ancora vivo e mi parla.

Ciò che fino a pochi anni fa mi rendeva incredulo, oggi mi trova molto più disponibile a credere e ciò perché io stesso mi sono dovuto arrendere di fronte a certe evidenze così palesi da lasciare sconcertati.

Grazie e grazie ancora, Don Angelo!

Quando morì, lo seppi per caso. Un giorno telefonai a Verniana e mi fu detto: “Ma non lo sapevi? Don Angelo è morto!”.

Ammutolii. E togliere la parola a un logorroico come me non è facile.

Quelle parole mi “tarparono le ali”, ma passati i primi momenti di sgomenti, ho iniziato a “percepire” la sua presenza accanto a me.

A distanza di sette anni da quel giorno mi sento in do- vere di urlare: “E’ vivo, oggi più di ieri”.

Dono Angelo me lo aveva predetto, come penso lo abbia predetto a molti suoi altri figli spirituali dicendo:

“Da morto cambierò domicilio, ma non cambierà nulla per te, anzi ti sarà più facile potermi esporre i tuoi pro-blemi, poiché risparmierai tanti viaggi che ti costano fa-tica, danaro e il rischio della vita”.

Don Angelo è vivo e sempre disponibile ad aiutarmi. La guarigione miracolosa che ha operato su di me non è tanto corporale quanto spirituale rifacendomi nuovo e conver-tendo la mia bestemmia in preghiera. Anzi, forse l’opera più grande che ha compiuto su di me è proprio la mia conversione a Dio, alla sua volontà, ai suoi disegni. Prima ero ribelle, oggi so lasciarmi andare alle decisioni che il Signore prende su di me e, nonostante le mille difficoltà, questo mi appaga e mi rende felice.

Don Angelo, dalla sua ‘nuova casa’ non mi fa mancare il suo aiuto e il suo consiglio e, ogni volta, mi dà la prova della sua vicinanza.

Circa un anno fa caddi nel bagno e non riuscii più a ri-mettermi in piedi. Mi accadeva spesso di cadere, ma quella volta fu diverso. Quante volte, dopo una caduta, mi sono rivolto a Don Angelo che mi ha aiutato a rialzarmi! Tuttavia quella volta, nonostante le mie innovazioni, non ci riuscii. Mi trascinai in camera e, con fatica, mi distesi sul letto.

Sperai che, con una nottata di riposo, tutto tornasse a posto, ma non fu così. Dovetti chiamare il medico, che mi consigliò una radiografia.

Fui accompagnato al Pronto Soccorso, dove, fatti i debiti accertamenti, mi fu riscontrata la frattura del collo del fe-more, quindi occorreva un’urgente operazione.

Fui immediatamente ricoverato all’Ospedale Maggiore di Bologna e mi raccomandai a Don Angelo perché mi aiutasse.

I medici si dichiararono apertamente scettici sul mio ritorno a camminare, date le mie condizioni precedenti, e anch’io lo dubitai fortemente.

Giunse la mattina dell’intervento e, come sempre avevo fatto in quei giorni, chiesi aiuto a Dio e a Don Angelo. Po-chi minuti prima di entrare in sala operatoria udii final-mente la sua voce.

“Franchino, via tranquillo. Tutto andrà bene. Ci vorrà del tempo ma tornerai a camminare…”

Mi sentii rincuorato. Poi aggiunse:

“Questa brutta frattura è roba vecchia, la caduta recente ha solo finto di rompere un osso già incrinato…”.

Non comprendevo bene che cosa volesse dirmi, ma quel dialogo fu sufficiente a farmi affrontare bene l’intervento. Ebbe, ancora una volta, ragione. Quando uscii dalla sala operatoria, i medici dichiararono che era stato un delicato e complicato intervento perché la frattura era non solo brutta, ma anche molto vecchia, tanto che si era già for-mata una callosità ossea. Da quando sono uscito da quell’ospedale, è iniziato il mio lento e graduale recupero e oggi posso ancora camminare come prima, seppure ac-compagnato dalle mie due fedeli stampelle.

Questi non sono forse miracoli?

Ancora una volta la medicina è incredula, io penso a Don Angelo, taccio, sorrido, ringrazio. Quanto ha pla-smato la mia vita!

L’incallito, bestemmiatore di un tempo oggi benedice; quel morto vive, quel cieco vede, quel paralizzato cam-mina, quel ferito guarda con un sorriso le sue piaghe e continua a lottare sereno.

Per concludere desidero raccontarvi di quando ho de-ciso di fare visita, per la prima volta, alla tomba di Don Angelo.

Un giorno sentii ben chiaro il suo vocione risuonarmi dentro:
”Che cosa aspetti a tornare a Verniana? E, già che ci sei, vai anche alla mia tomba”.

In realtà lo desideravo da tempo, ma mai avrei trovato la spinta giusta per andarci; e pensare che, finché Angelo era su questa Terra, non passava mese che non partissi da Bologna, incurante di qualsiasi condizione atmosferica, per raggiungerlo a Verniana.

Quante volte ho rischiato la vita a causa del cattivo tempo! Fio ha voluto proteggermi nei miei numerosi viaggi verso Verniana, dove vedevo realizzate le mie spe-ranze di guarigione.

Oggi ripercorro con la mente i tanti e lunghi anni in cui, quasi mensilmente, partivo dalla mia città col cuore gonfio di speranza per raggiungere il piccolo paese, dove un umile e anziano prete di montagna mi attendeva, pronto ad accogliermi fra le sue braccia forti, eppure tanto stan-che. E i ricordi diventano nitidi e vivi, tali da infondermi, come allora, gioia e serenità.

Conoscere, dialogare, pregare, con Don Angelo non era cosa da poco, perché lui non era una persona qualunque. Tutt’altro.

Ogni volta mi sentivo”riempito” da quella sua forza ca- rismatica, che non provenendo dall’uomo ma da Dio, non la si può definire con esattezza.

Ma torniamo al mio desiderio, nonché all’invito che Don Angelo mi fece di tornare ai suoi cari luoghi.

Un giorno della trascorsa estate, finalmente, potei rea-lizzare quanto desideravo e, in compagnia di alcuni amici, mi diressi verso Monte San Savino.

La prima tappa, però, volli farla alla casa natale di Don Angelo, a Freggina, un piccolissimo paese adagiato su un colle, dove ho avuto il piacere di conoscere alcuni suoi pa-renti, che mi hanno accolto molto cordialmente.

Poi ci siamo diretti a Partina, poco più in basso, dove in un piccolo cimitero riposa Don Angelo.

“Scusi – chiesi a una persona che era lì, – dov’è la tomba di Mon. Angelo Fantoni?”.

“ E’ là, in cima, al termine di quei gradini”,mi fu risposto.

Pensai che sarebbe stata per me una salita dura e fati-cosa, ma per il mio Angelone valeva la pena di fare quello e altro.

In compagnia dei miei cari amici e delle mie fedeli stampelle salii i gradini che mi separavano dalla tomba di Don Angelo e, fatti pochi passi, la vidi di fronte a me.

“Ciao, Angelone” – dissi – finalmente ti ho trovato! Credevi forse di potermi sfuggire?”

Davanti a noi si ergeva una piccola cappella bianca con la scritta “Famiglia Fantoni” e, nonostante che il cancel-letto fosse chiuso, potemmo leggere l’epitaffio che Don Anglo ha desiderato far apporre sulla sua lapide:

NON PIANGETE LA MIA SCOMPARSA

SPERO DI ESSRE IN CIELO CON I MIEI GENITORI

PREGERO’ PER VOI CHE VI HO SEMPRE AMATO

IN CRISTO AIUTATO SACRIFICATO PER VOI TUTTI

SULLA TERRA – LA MORTE E’ LA VERA

ORGANISTA DELLA VITA

Una scritta come questa non necessita di commenti ma solo di ossequioso rispetto. Verso un uomo di tale levatura morale e spirituale non possiamo far altro che tacere, me-ditare e, soprattutto, pregare. Infatti, di fronte a quella bianca cappellina, dove Don Angelo riposa in compagnia dei suoi amati genitori, ci raccogliemmo tutti in preghiera, penetrati dal quieto silenzio della vallata. Io rivolsi il mio pensiero a Dio e alle infinite meraviglie che ci dona, come quell’uomo a me tanto caro.

Guardavo la lastra che racchiudeva le sue spoglie mor-tali, provando la sensazione di sentirlo in me stesso ancora

vivo e ne ebbi, ancora una volta, la conferma, quando le mie preghiere furono interrotte dalla sua voce nota e amica che nitidamente risuonò dentro di me:
”Grazie Franco, per la visita e le preghiere. Sei fra i pochi ad averlo fatto, ma tu prega anche per quelli che non si ricordano… Io, come ti dissi un tempo, con la preghiera ti starò sempre accanto…”

Voltati lo sguardo verso la vede vallata che si adagiava ai miei piedi. Era silenziosa, quasi prostrata verso quel piccolo cimitero, verso la tomba di quell’umile prete, una figura carismatica di incommensurabile valore.

Questo paesaggio, pensai, pare voler essere la fotografia di Don Angelo. E’ calma, decisa, amichevolmente severa, proprio come lui.

Ero assorto nei miei pensieri, quando l’attenzione dei miei amici fu catturata da qualcosa che si trovava ai miei piedi.

Uno di loro si chinò e raccolse un piccolo oggetto di non so quale materiale, forse un misto di pietra e cemento. Co-munque, indipendentemente dalla sostanza di cui era composto, a colpirci in modo particolare fu la forma. In-fatti quel minuscolo pezzo di sasso era un piccolo cuore che “qualcuno” o “qualcosa” aveva misteriosamente scol-pito e lasciato ai miei piedi davanti alla tomba di Don An-gelo.

Ci guardammo stupiti, ma consapevoli e concordi di aver ricevuto in “dono” quel cuoricino come pegno e ri-cordo di una eterna amicizia.

Avvertimmo tutti nitidamente in quel piccolo oggetto dalla forma tanto eloquente il concretizzarsi di un gesto d’amore verso di noi da parte dell’umile parroco di Ver-niana.

“Angelo caro – così mi rivolsi a lui – questo cuore è il tuo ennesimo dono. Grazie!”. Ci riunimmo ancora in pre-ghiera, poi, soddisfatti e felici, ci avviammo verso l’uscita passando lentamente tra le tombe bianche e pulite.

Proseguimmo il nostro viaggio verso Verniana, dove vi-sitammo i cari luoghi, in cui Fon Angelo esercitò la sua missione di parroco e carismatico.

Anche lì incontrai molte persone che, in un modo o in un altro, avevano collaborato con lui.

Fra queste mi piace ricordare Agostino Lachi, suo colla-boratore e amico per molti anni, nonché Giocondo e Ma-ria, due coniugi molto cari a Don Angelo, proprietari dell’erboristeria di Verniana dove venivano distribuiti al-cuni rimedi naturali che il parroco, talvolta, consigliava agli ammalati e dove, ancora oggi, si possono trovare alcuni di questi prodotti.

Durante il ritorno provai molta stanchezza ma final-mente mi sentivo appagato da tanti piacevoli incontri e in-solite sensazioni.

Tuttavia, l’unico vero protagonista di quella giornata era stato lui, Don Angelo, che attraverso vie sconosciute, mi aveva fatto sentire sempre la sua inequivocabile pre-senza.

Mentre tornavo verso casa provai le stesse sensazioni di un tempo, quando, dopo essere stato da lui, ero stanco, ma felice.

Ancora una volta provai la sensazione di “pienezza spi-rituale”, di pace e serenità e fu bello riscoprire, dopo anni,, come superare le barriere della materia e del corpo, ci si possa ritrovare ancora, totalmente e per sempre.

Durante il viaggio di ritorno rimanemmo tutto il tempo in silenzio, quasi per non voler spezzare qual meraviglioso incantesimo, ma molto spesso il mio sguardo si adagiava su quel fragile cuoricino appoggiato al cruscotto della macchina.

Lo sentivo già come un piccolo e immenso tesoro che avrei custodito gelosamente, perché donatomi da Don Angelo.

Quando, verso sera, ci salutammo, mi sentii particolar-mente felice per avere accresciuto la mia fede e il mio ba-gaglio di esperienza.

Le vie misteriose e salvifiche del Signore sono infinite e proprio su una di queste mi ha fatto incontrare un uomo straordinario, che mi ha riportato alla vita.

Per tutti Dio prepara una via diversa, più o meno lunga, più o meno difficile, ma sulla quale, inaspettatamente, si può trovare la risposta ai nostri innumerevoli affanni e, soprattutto, la strada per una autentica e completa guari-gione, sia nel corpo sia nello spirito.

Pertanto, non ci si disperi mai, perché c’è sempre per tutti, indistintamente, la speranza di liberarsi di una situazione che ci era parsa senza vie di uscita.

Angelo caro, fa’ che queste mie parole e questo libro, dove ho pubblicato anche la tua fotografia, possano asciu-gare una lacrima e dare una cristiana speranza a colui che sta affrontando un tunnel nella sua vita.

Carissimi lettori, Angelo è vivo, dovete crederlo.

Accarezzate la sua foto e, con una preghiera, domanda-tegli aiuto. Sono certo che vi esaudirà.

Franco Predieri

LA LUCE DI DIO

POSTFAZIONE

[…] Io effonderò il mio Spirito sopra ogni uomo

e diverranno profeti i vostri figli e le vostre figlie;

i vostri anziani faranno sogni,

i vostri giovani avranno visioni […]

Gioele 3.1

[…] in ciascuno, lo Spirito si manifesta in

modo diverso, ma sempre per il bene comune.

Uno riceve dallo Spirito la capacità di esprimersi

Con saggezza, un altro quello di parlare con

Sapienza. Lo stesso Spirito a uno dà la fede, a un

altro quello di guarire i malati. Lo Spirito concede

a uno la possibilità di fare miracoli, e a un altro il

dono di essere profeta […]

1 Cor. 12, 7-10

Il mistero della vita dopo la morte da sempre ha affasci-nato l’Uomo, sia per un sottile quanto spontaneo rifiuto della stessa come fine totale e definitiva, sia per un natura-le desiderio di voler dare un significato più ampio alla pro-pria vita terrena, troppo spesso così difficile da condurre.

Vedi, per esempio, l’esperienza di certe persone che vi-vono – anzi, sopravvivono – ai limiti delle possibilità umane, come gli handicappati gravi, gli ammalati cronici, certe categorie sociali o tenie che soffrono ancora la fame e così molte altre.

Alle volte viene spontaneo chiedersi che senso abbiano certe esistenze, eppure, se le si guarda con un occhio di-verso che trascenda la pura ragione umana possiamo dar loro un significato ben preciso.

Tale significato, però, lo si può vedere solo se usiamo una certa chiave interpretativa che ci consenta di vedere un po’ più in là, meglio e più chiaramente ciò che vivendo esclusivamente questa realtà e interamente inseriti nel materialismo assoluto non possiamo né vedere né, tantomento, intuire.

Purtroppo, però, questo è l’atteggiamento in cui si rifu-giano in molti, non tanto per il rifiuto categorico di una Realtà Trascendente, ma perché tale atteggiamento rende – ma solo apparentemente – più facile la conduzione dell’esistenza terrena.

Il rifiuto categorico dell’Esistenza di una Vita oltre la ter-rena è spesso solo un rifugio per non voler pensare a una continuazione in altra forma e sostanza che, su modello di quella umana, potrebbe essere estremamente dura e diffi-cile; quindi, tentando di semplificare, ci rifiutiamo di ve-dere le cose attraverso quella chiave interpretativa diversa.

Una chiave, tuttavia, che invece è patrimonio di coloro che cercano, vagliano e, per fortuna, trovano molte risposte alle innumerevoli domande che nascono spontanee quali: «chi sono », «da dove vengo, dove vado?», oppure ancora, specie se si vive in una situazione difficile o una perdita improvvisa di una persona cara : «perché è capitato proprio a me?». Queste molte e altre domande non hanno e non possono avere risposta se non le si valutano attraverso quella chiave interpretativa che ci consente di dare un significato profondo a certe esperienze apparentemente crudeli e inspiegabili.

E’ come se vi fosse un filo invisibile che tutto unisce in un grande disegno del quale possiamo scorgere solo un particolare ma se ci solleviamo e modifichiamo il punto di vista può apparirci chiaro e pieno di significato perché visto nel suo insieme.

Ma come si fa a modificare – sempre che lo si voglia – quel punto di vista che ci consenta di vedere il senso profondo della nostra esistenza?
Ci sono diversi atteggiamenti che contraddistinguono eventi umani particolarmente difficili da accettare e, di fronte a un qualsiasi evento catastrofico che sconvolge la nostra esistenza, ci si può rifugiare sia nel più chiuso materialismo in cui diamo libero sfogo a una ribellione che spesso può raggiungere certi eccessi come il suicidio, oppure cercare una qualsiasi altra via di uscita alla disperazione.

Ma c’è ancora un altro atteggiamento – e qui entriamo nel merito della vicenda di Franco Predieri – e cioè che l’ «evento catastrofico» devastante conduca, in un primo momento, a una naturale e comprensibile ribellione ,ma successivamente, su una via nuova e impensabile dove si possa acquisire una chiave di lettura totalmente diversa, quindi, il raggiungimento non solo di una comprensione di uno straziante accadimento, ma di soppesarlo in una proiezione che trascenda la pura ragione umana.

Quante volte si sente dire che dopo una durissima e lacerante esperienza si è raggiunta, nel tempo, una pace profonda che mai la si era provata prima? E come se una impensabile illuminazione andasse a rischiarare le menti di certi esseri umani che, varcata la soglia del dolore, entrano in una dimensione mai pensata e dove possano acquisire una nuova e duratura saggezza.

Tale è l’esperienza, appunto, di Franco che, nonostante la sua comprensibile ribellione iniziale, non si chiuse com-pletamente nel più cupo materialismo, ma lasciò uno spi-raglio aperto attraverso il quale la Luce Trascendente ri-schiarò la sua mente sofferente e aprì lentamente un varco dove Dio poté inserire la figura carismatica di un suo servo fedele, Don Angelo Fantoni..

Quando sua zia Norma si avvicinò a lui, semiparalizzato e pressoché cieco, all’ospedale di Modena e gli propose di sottoporsi all’esame di un prede dotato di un particolare ‘fluido’, Franco accettò senza negarsi quell’unica possibilità che gli rimaneva. Anzi, dalle sue stesse parole trapela quel tantino di speranza che, dalla prima volta in poi, è stata la «spinta» reale che lo ha sempre accompagnato verso Don Angelo.

Certo, si potrebbe obiettare che quando no si ha più niente da perdere ci si può affidare anche alle più astruse possibilità, ma non è sempre così, anzi, pare che nella maggior parte dei casi sia più facile arrendersi che lottare, lasciarsi andare senza più sperare.

Nel caso di Franco, anche se inizialmente fu la zia a pro-muovere quell’iniziativa poi risultata determinante, si può affermare che nel suo atteggiamento disponibile a crederci «fino a prova contraria» e non negare, a priori, la possibi-lità che da tale incontro potesse giungere qualche possibi-lità di sopravvivenza c’era già delineata, anche se non definita, quella chiave di lettura di tutta la sua vicenda do-lorosa.

Ecco come, oggi, quella chiave interpretativa diversa consenta a Franco di vedere bene come stiano veramente le cose e tutta la sua storia sia contrassegnata da insoliti accadimenti ne sia la riprova.

Infatti, fino a oggi, durante l’arco di tutta la sua esistenza, moltissimi sono gli eventi di natura paranormale di cui è stato protagonista e tutto potrebbe aver avuto inizio, forse, da quell’episodio che gli accadde ad appena tre o quattro anni cadendo nel fiume Reno, una vicenda drammatica dagli aspetti indubbiamente insoliti.

La madre lo vide galleggiare inerte, apparentemente privo di vita e suo padre, pur non sapendo nuotare, si gettò nel fiume e, con somma fatica, riuscì a riportarlo a riva.

Quanto tempo sarà stato il piccolo Franco privo di sensi? Nessuno può risponderci con esattezza, tuttavia, dalla pre-ziosa testimonianza della madre di Franco, occorse uno sforzo non indifferente per riportarlo lentamente alle sue funzioni vitali.

L’anziana madre, a distanza di quasi cinquant’anni, ri-corda ancora quei momenti con viva trepidazione e, con la stessa, ripete le prime parole che il bambino pronunciò ap-pena rinvenuto, parole che l’età non ha potuto cancellare: «Mamma, è la Madonnina che mi ha salvato!».

E’ molto strano sentir pronunciare quelle parole da un bambino così piccolo che non ha ancora ricevuto alcuna educazione religiosa e, per giunta, in modo così certo e immediato. Inoltre c’è da chiedersi se a quella tenera età ci si possa rendere conto di essere stati in grave pericolo di vita e avere la lucidità di collegare l’evento salvifico alla figura della Madonna.

Questo drammatico avvenimento non è da sottovalutare, anzi è di fondamentale importanza per una migliore comprensione di tutta la vicenda di un uomo che, nonostante la dura esperienza di vita e le conseguenti limitazioni fisiche, è oggi profondamente sereno.

C’è da dire che, don molta probabilità, anche alla luce di fatti successivi che durante l’adolescenza gli sono accaduti, Franco ebbe un’esperienza di NDE, dall’inglese Near Death Experience , significa «esperienza in prossimità della morte».

Tali esperienze, oggi, sono oggetto di serie ricerche e studi da parte di numerosi parapsicologi e molto si è scritto su questo tema inquietante e, al tempo stesso, affascinante.

In questo senso sono molto interessanti le ricerche del medico americano Raymond A. Mooody che, sull’argo-mento, ha scritto diversi libri fra cui La vita oltre la vita e Nuove ipotesi sulla vita oltre la vita nei quali sono riportate diverse testimonianze di NDE.

Ma vediamo più da vicino, anche se sinteticamente, di che cosa si tratta.

Molte persone, trovandosi in prossimità della morte, una volta «ritornate» alla vita, raccontano di avere vissuto esperienze straordinarie e avere avuto visioni ultraterrene.

Tali «crisi della morte» possono accadere per cause di-verse sia durante interventi chirurgici, sia causate da un in-farto o altra improvvisa patologia, sia per un incidente che porta il soggetto a uno stato di coma o completa in-coscienza dopodiché, al risveglio, talvolta vengono riferite visioni paradisiache e incontri con persone già defunte.

Ma non solo. Dopo un’esperienza del genere un soggetto può acquisire delle particolari capacità extrasensoriali e iniziare a “vedere” e a “sentire” in un modo paranormale cose, perone o eventi. E’ come se, varcata anche per pochi attimi una “certa sogli”, una volta ripreso possesso delle proprie facoltà, permanesse una percezione diversa della realtà.

Non sempre, però,, rimane il ricordo di eventuali incon-tri fatti sulla soglia tra la vita e la morte e in un’altra dimensione e Franco è uno di questi ma, secondo alcuni studiosi, il fatto che manchi il ricordo non è determinante poiché ciò non esclude che durante una esperienza di NDE si possano aver avute, comunque, visioni o incontri soprannaturali successivamente rimossi.

Quindi, nel caso di Franco, l’assenza di ricordo di quel fatidico giorno dello scampato annegamento e di una vi-sione celeste non è determinate, anche perché sia la sua tenera età sia l’evento traumatico potrebbero aver contri-buito a cancellarlo.

Purtroppo, tutto quello che è rimasto, a livello di memo-ria, viene riferito ancora oggi soltanto dalla madre con im-mutata emozione.

Si può aggiungere soltanto un’ultima cosa, cioè che, dando valore alle parole che il bambino Franco riferì subito dopo il suo ritorno alle funzioni vitali, il probabile incontro con una Entità Celeste potrebbe chiarirci molti aspetti della sua vicenda umana, infatti, da adolescente, iniziò a fare previsioni di avvenimenti che poi accadevano con sorprendente puntualità. Non solo, aveva delle premonizioni su persone e anche su se stesso estremamente precise, tanto che lasciava i suoi familiari nel totale sconcerto.

Egli poté, con estrema precisione e con diversi anni di anticipo, prevedere la sua stessa malattia, l’abbandono della fidanzata e l’incontro fondamentale con una persona speciale, rivelatasi poi in Don Angelo.

Tali insolite capacità che si ravvisano in molte persone che hanno vissuto un’esperienza di vicinanza alla morte, potrebbero riguardare anche Franco, pertanto, le sue doti chiaroveggenti potrebbero essere state determinate, durante quella NDE, da un contatto soprannaturale da cui, lentamente, sarebbe scaturita la sua capacità di fare previsioni.

La storia di Franco è tutta contrassegnata da episodi in-soliti e il suo quadro esistenziale presenta aspetti indefini-bili ai quali, lo stesso Franco, in gioventù, ha sempre cer-cato di dare una risposta.

Nessuno aveva potuto aiutarlo e, tantomeno, con si confidava se non con la fidanzata che, dal canto suo, non poteva far altro che ascoltarlo e tacere, coltivando, in cuor suo, un velato timore.

Franco, oltre che ad avere previsto la sua malattia, pre-vide anche l’incontro con una persona del tutto particolare e, pur percependone il calibro e la fondamentale impor-tanza, non ne conosceva l’identità.

Ma ecco che quando ogni porta pareva chiudersi di fronte a lui ammalato, semi-paralizzato e quasi cieco avvenne l’incontro tanto atteso con Don Angelo Fantoni e, da quel giorni, per Franco ebbe inizio una vita. Attraverso quello spiraglio aperto che da sempre era rimasto in cuor suo, Dio volle dare, tramite il carismatico eccezionale, una radicale svolta alla sua esistenza.

Parlare di Don Angelo non è cosa poi semplice anche perché parlare di lui si è già parlato ampiamente in un altro libro di Don Redento Becci quindi sarebbe inutile e restrittivo. Tuttavia questo libro vuole essere la testimonianza di un uomo che, avendo visto la morte in faccia, è, lentamente e grazie al portentoso fluido di questo sacerdote, ritornato alla vita.

Don Angelo ha pian piano plasmato Franco in un uomo nuovo, un uomo sereno che oggi sa dare un senso profondo a tutta la sua dolorosa vicenda.

Questa pubblicazione è la testimonianza di un meravi-glioso rapporto, quello intercorso tra Franco e Don Angelo.

E’ la storia di una amicizia vera, fondata su pilastri di una fede incrollabile e che trascende ogni raziocinio. E’ la vicenda umana, toccante, spesso commovente, che ci porta alla soglia di un Mondo sconosciuto ma reale, una Dimen-sione dalla quale può giungerci ancora una spinta inaspet-tata o un provvidenziale aiuto.

Per Franco e il suo Angelone il rapporto non si è concluso con una lapide posta su una tomba dove sono state deposte le spoglie mortali dell’anziano prete di Verbania.

Il loro dialogo continua, non si è mai fermato e dalle me-raviglie di quel Mondo invisibile in cui oggi Don Angelo si trova comunica, consiglia e rimprovera Franco attraverso vie indefinibile dalla scienza ma che, al di là di ogni comprensione, esistono.

E attraverso queste vie misteriose, anche se in un modo del tutto diverso da quello umano classico, tra i due permane un rapporto intenso e consolate, anzi, non essendoci più la barriera della forte distanza a dividerli, il loro dialogo si è fatto pressoché immediato.

Franco, attraverso quelle che la Parapsicologia di frontiera definisce ‘locuzioni interiori’, dialoga ancora con Don Angelo e da queste conversazioni silenziose è nata in lui una spinta d’amore verso il prossimo che poi traduce in un aiuto concreto verso le persone che soffrono.

Ed è da questa spinta che è nato questo libro che non vuole essere lontano solo un atto di gratitudine verso Don Angelo Fantoni, umile prete di Verniana, ma anche un seme gettato che possa germogliare e rischiarare la mente e il cuore di qualcuno che si sente perduto.

Se questo intento dovesse servire per aiutare anche soltanto una persona tale pubblicazione non sarebbe stata vana.

E’ stato lo stesso Don Angelo dall’Aldilà a suggerire a Franco di pubblicare questo libro e farne dono a coloro che ne fossero stati interessati. Un regalo che provenga da una Chiesa, sì. ,a non quella terrena, bensì, come è scritto all’inizio, da quella del Cielo e dedicato a tutti gli esseri umani che dal Cielo si aspettano qualcosa.

Sembra proprio che, dall’Aldilà, Don Angelo cerchi in qualche modo di farci ancora parlare di sé, non certo per farsi venerare date le sue ben note caratteristiche di umiltà e riservatezza che avrà certo conservate anche in Paradiso, ma poiché adesso, spogliato del corpo terreno, desideri concedersi quel poco di pubblicità che ci è necessaria per riflettere sull’esistenza di Dio e su un Mondo Invisibile da cui possa giungerci un aiuto, anche attraverso persone dotate di particolari carismi.

Chi ha conosciuto sulla Terra Don Angelo ben conosceva il suo atteggiamento severo verso tutte le pratiche spiritiche ma nel caso di Franco è tutto ben diverso. La comunicazione c’è, esiste, ma, seppure desiderata, non è mai stata cercata da Franco ed è nata spontaneamente senza alcuna evocazione ben condannata dalla Chiesa ufficiale.

Ci esortava Don Angelo: “Coraggio figlioli, la morte non è morte ma trapasso a vita migliore cioè contemplazione del Dio vivente”. In queste parole si racchiude tutto il mistero della vita e delle opere di questo umile parroco di un piccolo paese di montagna e in questa contemplazione che per lui era iniziata già su questa Terra traeva quel meraviglioso fluido, spesso miracoloso, che elargiva con generosità sui bisognosi.

E Franco, grazie a quel fluido benefico di Don Angelo, ha maturato in sé una profonda saggezza, tanto che oggi una frase che spesso ripete con convinzione è: “Il più bel regalo che Dio mi abbia fatto è quello di farmi conoscere la morte”.

Chi potrebbe pronunciare questa frase so on colui che ha attraversato al valle dalla più totale disperazione? Una disperazione, però, in cui Franco lasciò aperto uno spiraglio, quello in cui la Luce di Dio rischiarò la sua anima e infuse nuova speranza. Oggi è un uomo nuovo e tutta la sua vicenda è un inno alla vita, alla fiducia, un invito ad abbandonarsi fra le braccia di un Dio Padre salvifico e misericordioso, non certo di un Dio severo e castigatore come alcuni ce lo dipingono.

Dall’incontro fondamentale per la sua esistenza, Franco ha saputo, non solo comprendere la motivazione della sua grave malattia, ma trarne un notevole accrescimento spirituale che oggi gli consente di vivere una vita all’impronta di una Verità Trascendente che lo avvolge, lo conforta, ma soprattutto, lo ama.

Il desiderio di Franco, oggi, è che questo libro possa andare a rischiarare ed aiutare qualche mente bisognosa di Luce e chi, come fu lui molti anni fa, si sente sprofondato nella più totale disperazione.

E’ un invito a lasciarsi permeare della Luce Trascendente dove un Dio d’Amore elargisce misteri di infinita bellezza.

Una Luce che illumina veramente, fino all’ultima cellula, e ci fa comprendere in senso di cose apparentemente inutili e crudeli.

«Mai disperare», ci dice Franco con un lieve sorriso che traspare dal volto sereno, «ma sempre si dica: sia fatta la Tua volontà».

Elisabetta Piccini

R. BECCI, Il fluido di un prete di montagna , Marciano, (PG), 1983, p. 20

MATTEO 10.8

Per ricordare l’altruismo, il sacrificio e la bontà di un sacerdote , [s.n.t.], p. 3

R. BECCI, Il fluido di un prete di campagna op. cit , pp. 53-54.

Per ricordare op. c it . , pp. 2-3

Per ricordare op. c it . , pp. 1

R. BECCI, Il fluido op. c it ., pp. 162.167

R. BECCI, Il fluido op. cit ., p 281.

R. BECCI, Il fluido op. cit ., p 283.

R. BECCI, Il fluido op. cit. , p. 281-289

Per ricordare op. cit ., p. 30.

MATTEO, 23.27-36

MATTEO, 21.12-13