relatore Franco Predieri
[Avviso al lettore:
Il testo che segue è tratto da una lunga conferenza che Franco Predieri ha tenuto a Pisa in occasione di un incontro pubblico. Abbiamo trascritto di seguito solo una piccola parte evidenziando un episodio, a nostro avviso, determinante. Da quel momento in poi, infatti, l’esistenza di Franco, seppure in modo molto graduale e lento, è stata contrassegnata da eventi estremamente insoliti]
Nel 1946 la guerra era appena terminata lasciando in vita solo lo scheletro della città di Bologna. Verso la periferia, oltre Borgo Panigale, in località La Pioppa, viveva mio nonno Augusto denominato “il fabbro”. Era il suo mestiere ferrare i cavalli dei contadini e costruire per loro gli attrezzi utili per il loro mestiere. Viveva con due figli, una figlia due nuore e tre nipotini. Eran molte le bocche da sfamare e il lavoro era duro.
Nel 1946 suo figlio più piccolo di nome Dante andò ad arricchire il nucleo familiare con la nascita di un bambino. Voglio proprio parlare di quel bambino, di nome Franco, molto vivace e per cui era stata progettata una vita con caratteristiche insolite.
Quel bambino sono io.
Mio padre aiutava il nonno Augusto nel suo lavoro ma era una persona dotata di un acume e un ingegno molto particolari, infatti, un giorno accadde che, nel sollevare con la forza delle braccia un secchio colmo d’acqua immerso nel pozzo, ebbe un’idea geniale che volle coltivare e dalle sue riflessioni progettò quella che venne definita “pompa a catena”.
Non erano ancora presenti le pompe elettriche e quella provvidenziale invenzione che fu brevettata e prodotta dalla sua officina in larga scala segnò una svolta molto positiva per tutta la mia famiglia.
Dai profitti ricavati da questa strepitosa invenzione fece costruire una grande casa e sul retro di essa una officina. Aveva ordinazioni da tutta Italia, Isole comprese, e ben presto si arricchì. Potè pure permettersi di acquistare una B.S.A. con syde car, una sciccheria per quei tempi!
Nell’estate del 1950 decise di concedersi un po’ di riposo e portare l sua famiglia sui colli al confine con la Toscana, a Molino del Pallone, un paesino tranquillo che guarda il fiume Reno scorrere ai suoi piedi.
Alloggiavamo dalla signora Fanin dove c’era pure il signor Guerrino con le sue due figlie. Un giorno i miei genitori mi vollero accompagnare con quelle due bambine un po’ più grandi di me, sulle sponde del fiume.
Eravamo a circa 700 metri sul l.m. e l’acqua scendeva fra i sassi in modo sobrio, spumeggiante, amichevole.
Il babbo, per tenermi tranquillo ed impegnato raccolse dei sassi e li mise sulla sponda del fiume creando un condotto in cui poter far galleggiare un anatroccolo di plastica che mi regalò. Doveva essere bello vederla galleggiare fino a fermarsi ed al termine riportarla a monte! Quel gioco mi piaceva ed ero molto tranquillo, tanto che i miei genitori si allontanarono un po’ da me. A un certo punto quella piccola ochetta trovò uno spiraglio tra due sassi e si involò verso il largo seguendo la corrente. Una delle due bambine vide il mio cappellino con su scritto “Forza Coppi” galleggiare al largo e avvertì subito mia madre. La mamma guardò verso quel cappellino e rimase inorridita nel vedere che sul pelo dell’acqua, po’ più distante, galleggiava il suo bambino. Fu colpita da una crisi nervosa e si mise a gridare.
Dalla strada soprastante diverse persone attratte da quelle urla corsero tutte laggiù verso il fiume per prestare soccorso. Il più lesto di tutti fu mio padre che pur non sapendo nuotare non esitò a gettarsi in acqua nel tentativo di recuperarmi. Miracolosamente mi raggiunse e mi sospinse verso la riva. Mi praticò la respirazione bocca a bocca finché riaprii gli occhi e dissi : “Mamma, è la Madonnina che mi ha salvato!”. Tutti i presenti si guardarono stupiti quasi increduli nel sentire pronunciare quella frase da un bambino così piccolo e proprio in quel momento! Avevo poco più di tre anni! Quando mai un bimbo che conosce e balbetta solo poche parole può pronunciare una frase di tanto alto contenuto? Quell’avvenimento fece scalpore e nel paese ne parlarono a lungo.
Da allora è trascorso molto tempo e pochi anni or sono mi è capitato di tornare con mia moglie a Molino del Pallone. Ci mettemmo a gironzolare fra le strade e volli domandare a una signora anziana se conoscesse la signora Fanin. “E’ morta da poco tempo” , mi disse. “Peccato”, replicai, “avrei voluto domandarle se si ricordasse ancora di quel bambino che nel 1950 si salvò dalle acque del Reno”. Lei subito ribatté “Me lo ricordo ancora bene quel fatto! Com’era bello quel bambino, si chiamava Franco!”. “Signora”, replicai, “quel bambino sono io!”. Guardò con diffidenza e giusto sospetto i miei capelli grigi e concluse “Certo che lo ricordo ancora, com’era bello quel bambino, ma è veramente lei?”.
Alla luce di quanto è successivamente accaduto nella mia vita credo di aver avuto un reale contatto con la Madonna poiché quello che mi capitò a Molino del Pallone fu, a mio parere, un miracolo. Il primo di una lunga serie di eventi che hanno il sapore del soprannaturale e vanno oltre la comprensione umana.
Per esempio, man mano che sono cresciuto e mi son fatto sempre più grande ho dovuto accettare, seppure con grande fatica, una caratteristica del tutto insolita. Tale capacità – che era del tutto spontanea – mi consentiva di prevedere con estrema precisione fatti che riguardavano il mio futuro.
Previdi persino il mio impegno sportivo ricco di medaglie e la mia successiva malattia con paralisi dovuta a una sclerosi a placche. Previdi alla mia fidanzata che nel 1971, dopo 9 anni di fidanzamento, mi avrebbe lasciato su di un letto d’ospedale e che a fine anno avrei avuto un incontro con una persona per me determinante.
Come previsioni sono sfuggito dalla cecità diagnosticatami all’Ospedale Maggiore e S.Orsola di Bologna. Senza alcuna operazione mi è scomparso un cancro in testa al letto del cervello e dire che alla Neurochirurgia dell’Ospedale Bellaria mi fu impartita la prima estrema unzione e volevano operarmi!. (Me ne impartirono poi altre due in altri ospedali). Rifiutai l’operazioni e firmai le dimissioni volontarie
Alla vigilia delle nozze, nel 1971, fui per l’ennesima volta ricoverato e lei mi abbandonò in ospedale e il 9 dicembre del 1971!
Ma nello stesso anno feci l’incontro più straordinario della mia vita. Incontrai per la prima volta Don Angelo Fantoni allacciando così un’amicizia eterna.
Chi era Don Angelo lo leggerete sul libro che ho scritto su ispirazione e di cui vi farò dono.
Oggi, grazie al fluido prodigioso di Don Angelo, sono un bancario in pensione, un cieco che vede, un paralizzato che cammina, un ex-disperato che pensò al suicidio e oggi ama la vita. Mi ritengo fortunato e spesso mi domando se ne abbia avuto il merito.
“E’ la Madonnina che mi ha salvato!”. Ripenso a quella frase e guardo quella fotografia che ho voluto inserire al presente testo. Guardate anche voi quello sguardo, cosa vede? Con chi parla? Cosa ha visto? Cosa gli hanno detto?
Ancora oggi guardo il Cielo e lo interrogo, lo respiro, lo vivo, bramo il dialogo.
Amico caro che stai leggendo queste righe, tu hai mai tentato di fare come me?
Guarda bene verso l’Alto e se non sai cosa dire ascolta. Mi è stato donato tanto e ho deciso di fare qualcosa pure io per il prossimo. E’ per me non solo dovere ma pure piacere il tentare di dare agli altri non fosse altro che una sola briciola di quanto mi sia stato donato. Riguarda quella foto in copertina e cerca di imitare quel bimbo guardando verso l’Alto. Così facendo ho riacquistato la vista, la serenità,la vita “Grazie, Madonnina, per avermi salvato”.
“Franchino”
Agosto 1950 – Molino del Pallone (BO)