Il 16 febbraio 2011 è uscito sul quotidiano Il Tirreno – Cronaca di Pisa – una bellissima ed esaustiva intervista a Franco Predieri da parte della giornalista Candida Virgone. Franco racconta di come, fin da bambino, abbia avuto percezioni insolite, inspiegabili che solo nella sua maturità ha potuto meglio identificare.
Tutto iniziò, per lui, quando rischiò l’annegamento da bambino a Molino del Pallone (Vedi anche nel Menu in Accadde l’articolo intitolato PRESENTAZIONE 19-02-2000) dopodiché iniziò ad avere degli insoliti accadimenti…
Inseriamo sia l’articolo che i collegamenti per chi volesse visionare l’articolo direttamente dal sito del Il Tirreno che è stato suddiviso in due parti.
Buona lettura!
PISA. «Non abbiate paura. Non finisce tutto con la morte. La morte è solo un passaggio di stato, di spessore, di dimensione, si entra in un’altra vita, tutta da vivere. Il mio è un “compito” e apprezzo che lei non mi abbia parlato banalmente di dono. Devo dare un messaggio agli altri: non disperate mai». Franco Predieri convive da quando era piccolissimo con il «compito» che dice di aver avuto, rassicurare sulla «vita oltre la vita». La sua storia torna più che mai di attualità in queste settimane, quando il grande schermo presenta l’ultimo capolavoro di Cleant Eastwood, «Hereafter», Aldilà. Perché Franco con l’aldilà, con persone scomparse, con cui è in contatto, racconta di convivere da anni, da quando, bambino, ebbe un’esperienza di quella che viene definita “nde”, near death experience, insomma un’esperienza di premorte, come è accaduto a migliaia di altre persone nel mondo, un’avventura che ricorda con una gioia immensa. Bolognese, 64 anni, bancario ormai in pensione, Franco vive a Pisa da molti anni con la moglie, pisana doc, Elisabetta Piccini, bibliotecaria in Sapienza. E da quel tuffo nella premorte, dal suo presunto ritorno dal «coma», riesce a sapere cosa accadrà, a vedere il futuro. «Una sensazione – dice – che all’inizio mi aveva spaventato, tanto che ne avevo parlato poco, anche con i miei. Poi però ci ho fatto l’abitudine». Franco sa quel che accadrà fin dalle elementari, tanto che i compagni di scuola, che ormai lo avevano capito, chiedevano continue previsioni su presenze e interrogazioni. Questo banalmente, perché le “visioni”, racconta Predieri, riguardano un po’ tutto, purtroppo anche tragedie, eventi luttuosi, drammatici, di conoscenti e non. Cose, a volte, di cui è difficile parlare. Un giorno, ventenne, andando a casa dell’ex fidanzata, vide un funerale e poi chiese a lei e ai vicini di chi si trattasse. Nessuno seppe rispondere: la risposta arrivò il giorno dopo, quando la cerimonia si svolse davvero. La storia più curiosa e fortunatamente non tragica riguarda il collegio, quando era a Valdobbiadene, e un fatto banalmente quotidiano. Non uscite – disse Franco a un gruppo di collegiali che voleva evadere per una gita notturna – il sorvegliante vi scoprirà. Ma no, risposero, lo abbiamo visto partire col treno. Per chissà quale coincidenza il sorvegliante non partì e per il gruppetto, scoperto, scattò una punizione esemplare. Con Franco, che è possibile definire un carismatico laico, ripercorriamo le tappe di quell’esperienza di “nde” in cui rischiò di annegare in un fiume. «Era l’agosto del 50 – racconta – avevo tre anni e mezzo e vivevo a Bologna con i miei. Mi portarono a fare una gita sul fiume Reno, a Molina del Pallone. Giocavo a riva con un’ochetta di gomma quando questa mi sfuggì, e, per prenderla, caddi in acqua, preda del fiume. I miei videro il mio corpo galleggiare e mio padre, che non sapeva nuotare, lottò a lungo con la corrente per riportarmi a riva, ma sembravo morto. Tentò di rianimarmi e mi ripresi solo dopo diversi, lunghissimi, minuti. In quegli istanti mi era apparsa una enorme parete di luce in cui si aprivano grandi cerchi brillanti di volti di persone sorridenti e felici. Era un mondo di gioia e pace immensa, una felicità mai provata. Noi eravamo cattolici come tanti, più per abitudine che altro, ma appena mi svegliai dissi a mia madre: la Madonnina mi ha salvato, eppure non ne avevo mai sentito parlare. Da allora convivo con questo ricordo e da allora riesco a vedere quel che accade. Dapprima ne parli poco, hai paura di passare per matto o per bugiardo, a scuola ero solo una specie di indovino, per questo molte cose le ho sempre tenute solo per me. Avevo vent’anni quando vidi anche la mia malattia». Franco è ammalato dalla bellezza di quarant’anni di sclerosi a placche, una patologia diagnosticata a fatica negli anni e che i medici, increduli, hanno finito per liquidare come «anomala». Ha ricevuto cinque volte l’estrema unzione, è rimasto cieco per due anni, sembrava che non dovesse più riprendersi e invece è ancora qui, con le sue stampelle, a portare il suo messaggio. «Ero un grande sportivo – racconta – facevo di tutto, calcio, rugby, atletica, ping pong, pesca sportiva. Vedi la mia gamba destra – dissi un giorno alla mia fidanzatina, Renata -? Fra qualche anno non potrò più usarla, partirà tutto dalla vista, dal cervello. Lei non voleva sentirmi parlare di previsioni. Mi fai paura: mi diceva. Ma fu così. Poi viveva nel terrore che ci lasciassimo. Lo farai tu, le dissi. Non accadrà mai: rispose. Invece mi lasciò il giorno prima delle nozze, con bomboniere, ricevimento e casa pronta, dove poi sono andato a vivere da solo. Mi lasciò perché ero già sulla sedia a rotelle. Tanti anni dopo ho trovato Elisabetta. Ricordo che ero ricoverato e dissi ad un altro paziente: non sono fidanzato, non ho nessuno però sono sicuro, fra un anno mi sposo. E così è stato». Fu Elisabetta – religiosa quanto basta, credente ma senza strani fervori, che si occupa da anni di parapsicologia, non senza le critiche del prossimo («al lavoro mi prendono per matta, ma io vado per la mia strada») – ad invitarlo a Pisa per una conferenza sull’aldilà. Franco rifiutò l’invito, come aveva fatto tante volte, ma da quella telefonata nacque una conoscenza che si concretizzò in un incontro. Evidentemente fatale. Si sposarono poco dopo, proprio e non a caso, a Molina del Pallone. E camminano ancora l’una accanto all’altro.
Leggi l’articolo de Il Tirreno “Oltre la morte c’è un’altra vita ne sono testimone“
Leggi un altro breve articolo de Il Tirreno che tratta della stessa intervista rilasciata a Candida Virgone “Per due anni senza vedere poi la luce grazie a Don Fantoni“